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Luca Palamara giudicato da Piercamillo Davigo? Il cavillo giuridico che rivela l'ultima farsa

Giustizia: Piercamillo Davigo

Pieremilio Sammarco - (Professore di Diritto Comparato Università di Bergamo)
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Con l'imminente procedimento disciplinare a carico dell'incolpato Palamara dinanzi al Csm vi è l'occasione per formulare qualche rilievo critico sulle disposizioni normative che ne regolano il suo funzionamento. La Sezione Disciplinare del Csm avvia un procedimento di natura giurisdizionale che dovrebbe avere i crismi di un processo dinanzi ad un giudice ordinario, attribuendo all'incolpato un set di diritti irrinunciabili ed incomprimibili che sono propri del giusto processo. Infatti, al procedimento disciplinare a carico dei magistrati si applicano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale sul dibattimento. Ma, in realtà, questo non avviene e chi si trova nella scomoda posizione di essere giudicato per le sue condotte, patisce una serie di norme regolamentari che sacrificano alcuni dei suoi diritti. Ad esempio, prendiamo l'istituto della ricusazione (attivato da Palamara nei confronti di Davigo): esso è speculare al dovere del giudice di astenersi dal giudicare in determinate circostanze, tra cui: a) se ha un interesse nel procedimento, o se una delle parti è creditore o debitore di lui o del coniuge o dei figli; b) se vi è inimicizia tra lui o un prossimo congiunto ed una delle parti private; c) se il giudice, nell'esercizio delle sue funzioni e prima della sentenza, manifesti indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto d'imputazione; d) se esistono altre gravi ragioni di convenienza. Quando viene presentata una ricusazione di uno o più membri della Sezione Disciplinare giudicante, la legge 195 del 1958 che regola la costituzione ed il funzionamento del Csm, all'art. 6, comma 5°, prevede che «sulla ricusazione di un componente della Sezione Disciplinare, decide la stessa sezione, previa sostituzione del componente ricusato con il supplente corrispondente». In sostanza, la ricusazione, anziché essere decisa da un organo diverso, come accade normalmente in sede giurisdizionale, viene trattata dal medesimo collegio destinatario della ricusazione.

 

 

 

Si tratta di una evidente singolarità che non garantisce una piena indipendenza e terzietà da parte della Sezione Giudicante che, in linea teorica, nei casi di coinvolgimento con l'incolpato, potrebbe avere interesse a riversare solo su quest' ultimo gli effetti della condotta da sanzionare, senza che possa essere estesa anche agli altri componenti giudicanti. L'anomalia della Sezione Giudicante è ancor più palese nel caso eclatante in cui un incolpato presenti un'istanza di ricusazione nei confronti di tutti i componenti della Sezione, compreso i suoi membri supplenti: la giurisprudenza dello stesso Csm, in questo caso, ha precisato che «è inammissibile l'istanza di ricusazione di otto componenti della sezione disciplinare del Csm poiché l'istituto della ricusazione non può operare qualora esso conduca alla paralisi della funzione giurisdizionale, che è pur sempre essenziale e prioritaria anche rispetto alle giustificate esigenze di una decisione scevra da sospetti di parzialità o di prevenzione» (Csm, 30 maggio 2001). Di fatto, stando così le cose, l'istituto della ricusazione, tanto importante per eliminare ogni dubbio sulla imparzialità del giudice, nel procedimento disciplinare è svuotato di potenza e cade nel vuoto, proprio perché la legge del 1958 non affida ad un organo estraneo al Csm la valutazione della sua fondatezza. E in questo modo l'esigenza di garantire che questo particolare e delicato procedimento sia improntato a terzietà ed indipendenza va a farsi benedire. 

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