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Attilio Fontana indagato? Renato Farina: ecco perché il cognato di Gianfranco Fini gode

Gianfranco e Elisabetta Tulliani

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La vicenda assurda di Attilio Fontana, finito nel tritacarne giudiziario e in quello giornalistico per troppa onestà, ci richiama quella capovolta che ha riguardato a suo tempo Gianfranco Fini. Il paragone è sconfortante. E dimostra che la logica del doppio peso e della doppia misura è oggi praticata come dieci anni fa. Semmai è pure peggio. L'azione della magistratura e, in un gioco di amorosi sensi, quella del giornalismo dominante - esaminando le due sequenze di fatti - dimostrano di attenersi a una costante irresistibile.

Non crediamo alla mala fede, ma a una misteriosa componente del Dna, per cui procuratori e cronisti annusano ciò che giova alla sinistra con infallibile sincronismo e vi si adeguano in maniera così scoperta che se invece di persone gli italiani fossero formiche gli entomologi ne ricaverebbero una legge di natura. Nel nostro caso specifico, come dire?, c'è cognateria e cognateria. La valenza penale della parentela dipende dall'a-chi-giova, e non dalla verosimiglianza delle accuse e dalla pregnanza degli elementi di reato che coinvolgano congiunti o affini di personalità politiche. Bensì dall'uso che la sinistra ne può fare per manipolare il consenso.

 

A CHI GIOVA
Il 28 luglio di dieci anni fa, anniversario!, con un articolo di Gian Marco Chiocci sul Giornale, fu disvelato lo strano caso dell'appartamento di Montecarlo che, sottratto dal patrimonio di Alleanza nazionale per quattro soldi, beneficò il cognato di Gianfranco Fini, Giancarlo Tulliani. Questo articolo non vuole celebrare il decennale, ma vituperarlo. Constatiamo che la verità sulla proprietà e i maneggi vergognosi per omaggiare dell'alloggio milionario il fratello della moglie, erano palesi sin dai primi giorni dell'inchiesta giornalistica. Che successe invece? Nulla. Magistratura ferma per anni. Al punto che il processo penale è lontano dall'essere concluso (personalmente auguro a Fini, finito nella polvere politica, di cavarsela in Tribunale, se non altro per solidarietà maschile verso gli sventurati rovinati dalla passione). Il processo giornalistico intentato dall'inquisizione dei sacri pennivendoli cominciò subito.

 

Non però contro i comportamenti delittuosi percepibili a occhio nudo da parte della combriccola finiana, ma contro chi aveva spiattellato il malaffare ai cittadini. Una verità che solo pochissimi giornali e rare voci televisive osarono raccontare e diffondere: condanna inevitabile da parte di questo sinedrio di scannacomputer, che li diffamò come sicofanti al servizio di Berlusconi. Il perché è fin troppo ovvio. Fini in quel 2010, presidente della Camera, era sì uomo di destra, ma di quel genere di destra girevole, tale da essere pronto a trasferirsi a sinistra pur di buttar giù il capo del governo, cioè il Cavaliere, che pure l'aveva associato come capolista del Pdl alle elezioni del 2008. Dunque era indispensabile a fungere da testa d'ariete per sfondare il portone di Arcore. I giornali di sinistra e i talk show, il Partito democratico e l'Italia dei valori, la magistratura con la sua inazione, compresero che non potevano permettere che fosse delegittimato da un'inchiesta giudiziaria il loro eroe del momento. Fini era la spina nel fianco di Berlusconi, la loro quinta colonna in casa del nemico. Andava usato come idrovora per portar via deputati e senatori dalla maggioranza e farlo cadere.

Del resto anche il presidente Giorgio Napolitano - come ha testimoniato in un efficace libro Amedeo Laboccetta - contava proprio su Gianfranco per metter su un governo arlecchinesco che sbattesse fuori da Palazzo Chigi Berlusconi. Fini fallì e fu messo da parte. Fu presto sostituito nei disegni del Colle e dell'Europa da Mario Monti. Amen.

PARCE SEPULTO
Con il tempo il nudo squallore del malaffare è venuto a galla. Del resto ormai Fini non più utile alla causa era già stato abbandonato con indifferenza quale relitto in mezzo al mare. Né abbiamo intenzione noi qui di eccitare gli animi contro di lui. Parce sepulto, dicevano i latini. Piuttosto il caso attuale è quello di Attilio Fontana e del cognato Andrea Dini. Qui non c'è di mezzo il furto o l'appropriazione di denaro pubblico.

Neppure un centesimo è finito per sbaglio nelle tasche di nessun cognato. Fontana rendendosi conto di aver danneggiato la ditta del suo affine (si dice giuridicamente affine, non parente) per il fatto stesso di essere governatore di centrodestra, e dunque nel mirino a prescindere, ha provato a risarcirlo con denaro pulito e dichiarato. Niente da fare. L'odore di cristianuccio leghista ha attratto con potenza gravitazionale e magnetica insieme il bravo giornalista di sinistra e i pm nella caccia al beccaccione sgradito al lupo comunista. Si leggano i quotidiani dal Corriere in giù (o in su?), si ascoltino i tg e i talk show: si esibiscono tutti con il sorcio in bocca di accuse fatte gocciolare con ritmo quotidiano dalla Procura o chi per essa, così da mettere in mano il coltello ai giornalisti della medesima squadra per lo sfregio quotidiano di Fontana. Tutti al servizio della sinistra che vuole prendersi il potere in Lombardia con la forza del Covid e delle calunnie.

 

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