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Attilio Fontana, Pietro Senaldi: sotto accusa perché è ricco, nessun reato ma molte pietre contro il governatore

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Ci vuole un'operazione da spietati professionisti di maquillage, anzi da rodati maestri della disinformazione, per far passare Attilio Fontana per un malfattore. L'uomo ha tre colpe: governa la Regione Lombardia, la più ricca, popolosa e concupita, è ricco di famiglia ed è leghista. Per questo si è scatenata contro di lui un'offensiva mediatico-giudiziaria violenta. L'inchiesta, è cosa nota, riguarda la fornitura di camici per medici e infermieri per un valore di 500mila euro alla Regione Lombardia, abbandonata, anzi ostacolata e vilipesa, dallo Stato in piena emergenza Covid-19. Cinque aziende hanno fornito indumenti ai sanitari lombardi durante i mesi più difficili. Tra queste, quelle del cognato e della seconda moglie del governatore, che aveva l'offerta economicamente più vantaggiosa. 

 

Su questo la sinistra grida al conflitto di interessi anche se il governatore, appena saputo dell'appalto ai suoi famigliari, ha trasformato il contratto in una donazione e si è offerto di pagare al fratello della consorte metà delle spese, non riuscendovi solo per l'intervento della magistratura. L'effetto dell'azione di Fontana è che la Lombardia ha avuto una cospicua fornitura gratuita di materiale che le altre Regioni hanno dovuto pagarsi. Su questa vicenda gli organi d'informazione filo-governativi hanno scatenato una campagna stampa che va oltre il fatto in sé e ha a oggetto la moralità del governatore. Fontana viene criminalizzato per aver fatto rientrare dal paradiso fiscale delle Bahamas, attraverso lo scudo fiscale creato dall'allora premier Renzi, cinque milioni di euro avuti in eredità dalla madre, dentista di fama e consorte di un avvocato di successo. 

Un movimento avvenuto nel 2015, denunciato dall'interessato e perfettamente legale che è sintomatico dell'onestà del presidente della Regione piuttosto che della sua disonestà. L'unica cosa che la storia prova è che l'uomo, beato lui, è più che benestante, oltre che rispettoso delle leggi. Questo può dar fastidio agli invidiosi, ma non è una colpa. Certo, san Francesco forse avrebbe donato ai poveri l'intero gruzzolo, ma la santità non è richiesta in politica, e comunque don Attilio era pronto a smenarci 250mila euro di suo pur di assicurare i camici agli ospedali lombardi. 

PARENTI SCOMODI
Quando un'accusa è fondata, non ha bisogno di ammennicoli per apparire forte. Se la vicenda dei camici costituisse reato, basterebbe di suo a far dimettere Fontana. Invece l'opposizione chiede le dimissioni del governatore perché, forse, sua madre defunta non ha pagato le tasse. Allora dovrebbero anche dimettersi Conte per i guai fiscali del suocero, Di Maio per gli abusi edilizi del padre e Zingaretti per aver pagato mascherine mai arrivate. E si sarebbe dovuto dimettere anche Fini quando scoppiò lo scandalo della casa di Montecarlo comprata a due lire dal cognato dell'allora presidente della Camera alla fondazione di An, alla quale la vedova Colleoni l'aveva donata; invece la magistratura usò con lui i guanti di velluto, fino a quando Berlusconi non venne estromesso dal Parlamento e l'allora leader della destra non divenne inutile per le manovre della sinistra. In questa vicenda, la giustizia e la politica, inventandosi il reato di donazione di camici stanno coprendosi di ridicolo. La spiegazione del giallo di Fontana è molto più banale di quanto non si pensi. Da prima che iniziasse la pandemia il governatore è stato oggetto di attacchi. Fu il primo a mettersi la mascherina e la sinistra lo accusò perché non l'aveva indossata con la stessa grazia di un modello di Armani. 

 

Ci fu perfino chi gli rimproverò di aver fatto un enorme danno d'immagine all'Italia. Il rimbrotto non arrivò da quattro leoni da tastiera con poco cervello ma dal meglio della sinistra, Orfini, Martina, perfino Calenda, per non parlare dei grillini, che definirono «irresponsabile» il gesto del presidente lombardo. Salvo poi chiudere il Paese per due mesi e mezzo. Poi l'Attilio venne accusato perfino di aver costruito un ospedale in tre settimane in piena pandemia e di non aver fatto la zona rossa a Bergamo, obbedendo alle indicazioni del governo. Qualsiasi cosa faccia, Fontana è nel mirino. Anche adesso, che la sua Lombardia è arrivata a registrare zero decessi mentre altrove in Italia si muore ancora per Covid-19. È evidente allora che al centro dell'attacco non è l'uomo ma la poltrona che occupa. La sinistra vuol mettere le mani sulla Lombardia, punta sul fatto che la regione è la più martoriata dal coronavirus per fare della malattia una colpa e scalzare il centrodestra. 

Per raggiungere lo scopo, tutto fa brodo. E si dimentica quello che ha detto il governatore ieri in Consiglio: se avessimo potuto gestire i nostri soldi, la sanità lombarda non sarebbe mai entrata in crisi per la pandemia; purtroppo però, anche per assumere un infermiere dobbiamo chiedere il permesso al governo, che, malgrado i nostri conti siano in regola, ci impone di tagliare letti e personale per allinearci alla mediocrità altrui e poi ci rimprovera di non avere strutture all'altezza. 

RISOLVERE E FARE GUAI
L'Italia è nella palta. Gli immigrati con il Covid hanno sostituito i turisti, il governo non riesce a gestire l'accoglienza, tant' è che ogni giorno fuggono centinaia di profughi, aumentiamo il debito festeggiando le elemosine dell'Europa senza neppure sapere come spendere quei soldi, che anziché a risollevarci servono solo a posticipare di tre o quattro anni il fallimento del Paese, le cronache ci informano che Salvini è stato indagato benché i giudici lo considerassero innocente e che la condanna di Berlusconi fu decisa fuori dalle aule dei tribunali. Eppure, tutti si preoccupano del perché la famiglia Fontana ha regalato dei camici alla Regione che Fontana amministra. Chi a Milano risolve i problemi a proprie spese, è indagato, chi a Roma fa guai che pagheremo tutti cari, viene osannato. Ci vorrebbero altri camici, ma di forza, per i trombettieri anti-Attilio e pro-Giuseppe. riproduzione riservata.

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