Cannonata

Pietro Senaldi contro Giuseppe Conte: "Come Erdogan, se ci fosse un giudice ce n'è abbastanza per processarlo"

Il prolungamento dello stato d'emergenza fino a metà ottobre stabilito da Conte non sta filando via con la disinvoltura che il premier avrebbe sperato. Sono sempre di più coloro che storcono il naso, e non solo dall'opposizione, dove Salvini e Meloni hanno denunciato che l'allungamento dei pieni poteri della presidenza del Consiglio serve a curare la salute del governo più di quella degli italiani. Lo stato d'emergenza è nelle grida del governo ma non nelle strade, dove la popolazione ha ripreso a vivere come sempre, e neppure negli ospedali, che da quasi due mesi hanno i posti in terapia intensiva liberi.

 

C'è una differenza abissale tra la realtà del Paese e quella del Palazzo, tant' è che su internet circola la foto di Conte sormontata dalla scritta «il Covid-19 circolerà fino a fine legislatura». Tanto per far capire come gli italiani abbiano ormai mangiato la foglia e molti siano persuasi che la pandemia permanente sia funzionale al mantenimento del potere di una maggioranza che ha il virus come unico punto di forza e collante. Ma le critiche che più fanno male al governo arrivano da una schiera di costituzionalisti, fini giuristi e professori, per lo più di sinistra, i quali mettono in guardia dal metodo Conte che, alla maniera di Erdogan, un pezzo alla volta allarga i propri poteri. Con la differenza che i turchi hanno almeno avuto la soddisfazione di eleggere democraticamente il proprio sultano un paio di volte. Il più indignato di tutti è Sabino Cassese, il quale ha paragonato il professor Giuseppe a Orbàn e ha dichiarato che «la pandemia non è una guerra e in questo caso i pieni poteri non sono legittimi». Gli ha fatto eco Michele Ainis, costituzionalista e firma di Repubblica, che ha parlato di «grave anomalia» e ha accusato il governo di truccare da decisione di ordinaria amministrazione «la più politica delle scelte».

Il nostro Alessandro Giorgiutti rimpingua nell'articolo a lato la carrellata delle fini menti che si sono stufate di Conte. Io aggiungo solo Gianrico Carofiglio, affermato scrittore ma anche solido giurista, che ha spiegato in tv al sottoscritto, con il quale raramente è d'accordo, che ormai le prese antidemocratiche di potere non si fanno più in una notte occupando i palazzi con i carri armati, ma un passo alla volta, limando le libertà delle opposizioni e dei cittadini. Proprio come sta avvenendo ora. Con l'aggravante della scarsa trasparenza, visto che il premier si ostina a non voler rendere pubbliche le relazioni del Comitato Scientifico sulla base delle quali decretò lo stato d'emergenza, nonostante una sentenza del Tar del Lazio glielo imponga. Se ci fosse un magistrato che ambisse distinguersi dai colleghi e per una volta, anziché Salvini, ravanasse sulle trame del premier, ce ne sarebbe abbastanza per aprire un'inchiesta sul ricorso disinvolto di Conte ai pieni poteri.

 

Beninteso, approvati dal consiglio dei ministri e occasionalmente anche dal Parlamento; ma di fatto il governo a suo tempo avallò anche i divieti di sbarco agli immigrati imposti da Salvini, che una prima volta fu assolto dal Senato, e quindi legittimato a ripetere il comportamento per il quale oggi è incriminato. A suffragare l'iniziativa ci sarebbe il parere di fior di costituzionalisti, tanto compatti sul caso Conte quando sono divisi su quello Salvini. La questione giuridica ci sta tutta ed è degna di un conflitto d'attribuzione che i parlamentari potrebbero sollevare davanti alla Corte Costituzionale. Ma potrebbe bastare ad aprire la vicenda anche il semplice ricorso di un proprietario di bar o discoteca che si ritiene leso da uno di quei decreti della presidenza del Consiglio limitativi delle libertà ai quali il premier ricorre troppo spesso e senza motivazione (come gli ha ricordato anche la seconda carica istituzionale della Repubblica, la presidente del Senato Alberti Casellati). Si trattasse di Salvini o di un altro leader di centrodestra, la vicenda si sarebbe già aperta, con tanto di grancassa mediatica.