Il presidente

Donald Trump, attenti a darlo per finito: il secondo mandato non è affatto impossibile

Se s' infetta la popolazione, crolla l'economia e le città vanno in fiamme e nonostante tutto Donald Trump fra tre mesi ottenesse la rielezione a presidente degli Stati Uniti, sarebbe un miracolo. Oppure, se occorrerà fornire una spiegazione più naturale degli eventi si potrà attribuire il secondo mandato alla Casa Bianca a un «backlash (contraccolpo) da parte del popolo silenzioso pro-ordine e pro-patria», come scrive Glauco Maggi nel suo Il guerriero solitario. Trump e la mission impossible (Mind Edizioni, Milano 2020, pp. 208, euro 18), nelle librerie dal 20 agosto, ma già prenotabile su Amazon. Non è uno scenario fantapolitico, spiega il giornalista, che da poco ha ottenuto la cittadinanza a stelle e strisce, anzi, «se le élite insisteranno, e si ostineranno a ignorare la montante reazione negativa, la partita di novembre potrebbe riaprirsi seriamente». 

 

Il problema è che, negli ultimi cinque mesi, nonostante il Caresact da 2.200 miliardi di dollari, il Covid-19 ha fatto andare in fumo i successi ottenuti in un triennio dalla Trumpeconomics, gli indici di Borsa balzati ai massimi storici e la disoccupazione scesa ai minimi. Il tragico calcolo dei contagi sfiora ormai i 5 milioni, il numero dei morti ha superato i 150mila e, sbrigativamente, se ne deduce che basta addossarne la responsabilità a Trump, per tradurre numeri e lutti in voti per Joe Biden. Non funziona mica così, però, perché «Trump ha già dimostrato di saper ribaltare i pronostici e ora ci riprova». 

GEORGE FLOYD
Certo, il percorso è in salita e ha conosciuto tappe, come quella di Minneapolis con l'assassinio da parte di un poliziotto dell'afroamericano George Floyd il 25 maggio, che si sono rivelate ostacoli. Anche in questa circostanza, un cortocircuito della logica suppone che, siccome lo ha ucciso un bianco, tutti i bianchi sono razzisti e Repubblicani, quindi occorre votare per i Democratici, benché la loro tendenza sia sempre più incline al socialcomunismo. Si tratta di «un'accusa vuota, smentita pure dalle nomine di neri a importanti posizioni federali», spiega l'autore, ma come nel primo caso, anche nel secondo il parafulmine del disagio sociale è stato individuato in Trump. Da un lato non porta la mascherina e sottovaluta il problema, dall'altro reprime le proteste pacifiche. Peccato che la situazione sia più complessa: il virus è arrivato dalla Cina comunista fiancheggiata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, non si stanca di ripetere il presidente. In più, le misure di distanziamento sociale e di profilassi, che sono state sufficienti a evitare che s' infettasse lui, evidentemente non sono state seguite da coloro che si sono ammalati. Nel frattempo, l'Amministrazione di destra ha cercato di salvare il tessuto produttivo della prima economia mondiale, a beneficio del resto del mondo. 

RIVOLUZIONE
Per quanto riguarda le violenze di piazza e l'abbattimento di statue e simboli, la rivolta covava da tempo, alimentata dai gruppi anarchici che travestono le loro lotte da antirazzismo. E infatti «negli Stati Uniti gli Antifa erano diventati famosi ben prima dell'omicidio Floyd, per aver impedito nei college con le loro azioni di guerriglia diversi comizi tenuti da professori conservatori e filoisraeliani e dai loro ospiti. Il "programma" politico consiste in devastazioni, incendi, distruzioni di auto, negozi e cantieri». Quando poi la guerriglia urbana si tramuta in aperta secessione armata, come a Portland, nell'Oregon, oppure a Seattle, dove era stata proclamata una "Zona Temporaneamente Autonoma", non c'è da sorprendersi se poi arrivano le forze speciali a ripristinare la sovranità statunitense sul territorio. C'è una Rivoluzione in corso, che rischia di sfociare in un fiume di sangue. Maggi ne svela con acribia le origini ideologiche e politiche che risalgono a una miriade di cattivi maestri e di movimenti che hanno diffuso l'odio contro il patrimonio della cultura americana, ingiustamente individuato con il "capitalismo sfruttatore". 

Nelle loro radici invece, come insegnava il maestro del conservatorismo Russell Kirk, c'è la civiltà frutto dell'importazione della fede cristiana dall'Europa. Se non si può affermare con sicurezza che è in atto anche una vera Contro-Rivoluzione, in ogni caso dall'altro lato delle barricate c'è l'America che crede in Dio, con quel motto "In God We Trust" che suscita la rabbia degli atei e dei comunisti. E ci sono due stendardi, avrebbe detto sant' Ignazio di Loyola. Non tre. Da una parte la libertà religiosa, i diritti umani (fra i quali la vita), la democrazia e lo sviluppo, difesi da Trump, che ha sconfitto il terrorismo islamico senza scatenare una guerra; dall'altra la Cina con i suoi campi di concentramento, il Venezuela e l'Iran sprofondati nella miseria, l'Europa alle prese con l'invasione dall'Africa. Beati gli americani che a novembre possono scegliere.