Il patto

Pd, la resa incondizionata e il vero peccato: camuffarsi da M5s per salvare le poltrone

Iuri Maria Prado

L'idea è su per giù che l'innesto progressista avrebbe corretto in senso democratico il corso del governo precedente. Estromessa la componente leghista, il Pd avrebbe cioè assicurato il proprio ricostituente civile a un'azione esecutiva finalmente sottratta al comando aberrante di Matteo Salvini, e l'equilibrio di maggioranza si sarebbe ricomposto in un quadro di accettabilità costituzionale, europea e appunto democratica. È una rappresentazione tanto corrente quanto discutibile (in latino si direbbe che è una minchiata, ma qui voliamo bassi). È vero infatti che la Lega si mangiava i grandi e fragili possedimenti elettorali dei 5 Stelle, ma lo faceva con una sua politica, buona o cattiva non importa, e imponendo la propria immagine con iniziative che lasciavano sempre indietro l'alleato più sprovveduto (il ministro Bonafede che rivendicava parità di grado perché si travestiva da secondino rappresentava in modo esemplare il ridicolo affanno competitivo di quei poveretti). Il Pd, con le sue escrescenze, faceva invece e continua a fare in modo diverso: non si nutriva del prodotto elettorale grillino dopo averlo rimescolato nella propria cucina, ma lo cannibalizzava in un dispositivo di chiacchiera insufficiente non si dice a formulare un profilo politico appena connotato, ma perfino a trovare concretezza in un selfie presentabile (le critiche alla militanza social di Salvini non venivano da chi voleva distinguersi per altro, ma da chi non era capace nemmeno di quella). Il risultato di questo avvicendamento era dunque opposto rispetto a quello messo alla base della rivendicazione propagandistica del Conte 2: non si trattava e non si tratta di una levigatura democratica ottenuta tramite l'eliminazione dell'asperità leghista, ma di una pura involuzione del sistema rappresentativo che ha trasformato il terreno della maggioranza in una specie di marna bituminosa solo rassodata dalle reciproche ambizioni di potere dei nuovi soci. L'alternativa ai pieni poteri reclamati dal capo leghista si è risolta nel pieno potere di esautorare il Parlamento con la democratica concessione di fargli visita un paio di volte al mese, nelle pause tra una decretazione illegittima e l'altra, mentre gli italiani erano privati delle libertà fondamentali per garantire il funzionamento del modello che vanta trentacinquemila morti e un'economia assassinata. E non è infine un caso che la capacità devastatrice del potere neofascista dei 5 Stelle - nello sfregio delle istituzioni, nella piombatura della giustizia, nell'economia conchiusa nella nazionalizzazione e nel calmiere - si sia sprigionata proprio mentre declinava il consenso verso quel movimento: non è un caso ma è il frutto protuberante da quell'innesto malefico, con il Pd in posizione di puro percettore di quote di influenza ripagate con l'inerzia, con l'abdicazione, con una sorta di laisser faire usurpativo che non aveva bisogno di farsi politica perché gli bastava essere potere. Un altro bell'esempio del contributo progressista alla gloriosa storia della nostra democrazia.