Vittorio Feltri, lezione ai fannulloni: "Nessun lavoro è umile, umiliante è l'ozio"
C'era una volta un ragazzo di provincia nato in una famiglia niente affatto agiata. Riuscì a frequentare regolarmente la scuola fino alla terza media. Poi la situazione in casa precipitò, la mamma perse il lavoro ed egli fu costretto ad arrangiarsi. I primi giorni di miseria furono particolarmente duri, mancava addirittura il cibo ed egli aveva fame. Entra in una farmacia affollata non perché avesse l'esigenza di procurarsi un medicinale, bensì poiché era gennaio, faceva freddo, e voleva riscaldarsi un po'. Si guarda in giro e vede in un cestino dei rifiuti mezzo panino. Gli fa gola e con aria disinvolta si china e lo afferra, lo mette in tasca, e quando esce per strada lo addenta. Gli sembrò molto buono, benché raffermo. Allorché sei povero ti accontenti di poco, anche degli scarti di chi povero non è. Il ragazzo poi si ferma davanti alla locandina di un quotidiano locale e dà una occhiata speranzosa alle offerte di impiego.
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Un annuncio recita: cercasi fattorino capace di guidare la Lambretta, scrivere a casella postale numero tale. L'adolescente annota e verga una lettera dichiarandosi disponibile ad assumere l'incarico. Ma non ha gli spiccioli per il francobollo. Nella più totale disperazione gli viene una idea: va dal parroco, gli mostra la missiva e confessa di non poterla spedire per mancanza di soldi. Il prete, mosso a pietà, gli regala 50 lire. La busta parte e una settimana dopo l'adolescente riceve l'invito a presentarsi in un negozio di cristalceramiche che intende esaminare la sua domanda. Esito favorevole per il giovinetto ansioso anzi impaurito. Egli comincia tremando la propria attività, che consiste nel portare a domicilio dei clienti i loro acquisti. Gli tocca scorrazzare col furgoncino per la città onde consegnare le merci a chi le ha comprate. Dato che qualcuno, non tutti coloro che ricevono i pacchi, gli danno la mancia: 100 o 200 lire, il ragazzo agisce con entusiasmo. Non è più uno straccione, si guadagna da vivere. Il negozio vendeva oltre a bicchieri e piatti, pure bombole di gas liquido assai pesanti. Una delle quali egli fu costretto un giorno a portare al quarto piano di un edificio modesto. Fatica bestiale, manca il fiato, il cuore scoppia nel petto. Bisogna sopportare. Il nostro amico sfoglia i quotidiani locali abitualmente e trova un altro annuncio appetibile: cercasi apprendista commesso in negozio di abbigliamento. Questa volta ha i denari per spedire la lettera, e ottiene una risposta nel giro di due o tre dì. Viene accolto nell'azienda e inizia ad imparare il mestiere. Scopre che esiste una scuola serale di vetrinisti e si iscrive. L'orario delle lezioni è impegnativo: dalle 19 alle 22. Dopo aver sgobbato la giornata intera, altre tre ore di studio e di pratica. Egli rientrava nella propria abitazione quando la mamma e i fratelli già dormivano. In cucina giaceva sul tavolo un pasto freddo, minestra e formaggio, una "Rosetta". L'unico essere che gli faceva compagnia era un gatto, Mefisto, che si coricava ogni notte con lui non sopra le coperte ma sotto. Quando arrivò il diploma di vetrinista, al giovinottello pareva di volare e in effetti volò. Cominciò ad allestire vetrine a tutto spiano guadagnando parecchi quattrini che accantonava come una formica, tuttavia non poteva depositarli in banca giacché minorenne, cosicché li affidava a una vecchia zia che li teneva a disposizione con una cura commovente. Allorché costui compì 18 anni conseguì la patente e si comprò una utilitaria, una Cinquecento Fiat garantendosi la libertà di circolazione, indipendentemente dai mezzi pubblici. Visse questa esperienza come una conquista. Però pretendeva altro. Riprese gli studi che aveva abbandonato per necessità esistenziali, e aiutato in modo decisivo da un monsignore consolidò la propria preparazione, ponendosi in grado di affrontare nuovi compiti professionali. Fu un percorso lungo e tortuoso eppure pieno di speranze, e molte si sono concretizzate. Adesso il ragazzo di cui vi ho raccontato l'odissea è un signore riverito che non gradisce essere citato, la riservatezza è per certi uomini un Vangelo. Quando lo incontro chiacchieriamo serenamente. E se io vi ho riferito la sua vicenda è soltanto in quanto mi preme far sapere ai giovani che ciascuno di noi è padrone della propria sorte. Non è la fortuna o la sfortuna che decide il nostro destino, bensì la volontà. Disoccupati si nasce, occupati si diventa, e magari anche facoltosi. L'uomo di cui vi ho narrato la storia, mi ha confidato che non ha un ricordo brutto delle sue peripezie di un tempo. E ha aggiunto che l'unico rimpianto riguarda il suo micio, Mefisto, che gli ha insegnato cosa sia l'amore. Morale: nessun lavoro è umile, umiliante è rifiutare di sgobbare.