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Nello Musumeci, Alessandro Giuli in sua difesa: "È il nostre eroe, vuole scacciare i migranti"

Alessandro Giuli
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Nello Musumeci è un politico a statuto speciale sul quale oggi convergono speranze demagogiche e spropositi sleali. C'è chi gli dà perfino del fascista mai rinnegato, per il solo fatto che preferisce governare la sua Sicilia piagata dal malaffare e dall'emergenza migratoria senza illusionismi terzomondisti e con il piglio dell'uomo di legge con uso di mondo e di parole. È il personaggio del momento dacché ha firmato l'ordinanza che impone fino al 10 settembre il divieto d'ingresso, transito e sosta in Sicilia per i migranti, con la conseguente chiusura degli hotspot-colabrodo tenuti aperti sinora dal Viminale. E proprio con il ministro competente, Luciana Lamorgese, adesso Musumeci ingaggia battaglia senza tregua: «Il ministero dell'Interno vorrebbe impugnare la mia ordinanza? Perché non lo ha fatto entro le 48 ore, come era giusto fare? Perché sta perdendo tanto tempo? Lo faccia. Hanno sentito il parere dell'Avvocatura dello Stato? Anche noi abbiamo sentito diversi costituzionalisti. Loro faranno sentire loro trombe, noi suoneremo le nostre campane».

 

 

Queste le sue ultime parole pronunciate ieri, mentre il circo mediatico-politico di governo cercava di ritrarlo come una figura a metà tra il mattocchio in cerca di ribalta e il carnefice di una destra feroce e immaginaria. Né l'uno né l'altro, ovviamente: il presidente della Regione Sicilia può sottrarsi con facilità a ogni caricatura abbozzata dai soliti malintenzionati. Perché nella terra in cui vive e nel partito in cui milita, i Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni, è davvero difficile trovare un dirigente con il suo lungo curriculum e una specchiata adesione ai princìpi della destra storica. Fra i quali, sia detto per inciso anche se di sostanza si tratta, è presente anche il principio di precauzione applicato alla pandemia: quando i giallorossi ancora non berciavano contro i così detti "negazionisti" del coronavirus, Musumeci già si distingueva per la severità dei provvedimenti finalizzati a contenere il dèmone cinese e girovagava per le televisioni a reclamare risorse e poteri: «Se Roma non ci ascolta, corriamo il rischio di combattere una guerra con le fionde», ammoniva a fine marzo.

IL PIZZETTO
 «C'è un solo uomo di destra pulito, splendido, brillante, specchiato ed è Nello Musumeci», ha scritto di lui Pietrangelo Buttafuoco. Ma per capire chi è, e sopra tutto chi non è, bisogna partire dal quel suo pizzetto primonovecentesco che affonda le radici nella borghesia conservatrice di Catania, un mondo di provincia tricolore e cosmopolita personificato da Filippo Anfuso, ambasciatore mussoliniano e poi deputato missino nel Dopoguerra, al quale il concittadino Nello dedicò una biografia negli anni Ottanta, pegno di un'acerba militanza nella Giovane Italia che avrebbe dato il La a un cursus honorum degnissimo di rispetto. Consigliere comunale a vent' anni; poi vicesindaco; quindi presidente della Provincia di Catania nel 1994, l'anno dell'esordio berlusconiano e della sterzata governista della destra finiana.

Di Gianfranco Fini, Musumeci è stato un fedele deluso anzitempo (ha lasciato Alleanza nazionale nel 2005), dopo aver conquistato sul campo due mandati da europarlamentare terminati nel 2009 e inframezzati da un'eruzione dell'Etna che l'ha costretto a tornare come commissario straordinario per l'emergenza. È un siciliano di mondo e nel mondo, Musumeci, con qualche inclinazione alla scappatella autonomistica (ha fondato "Alleanza Siciliana", movimento regionalista poi confluito nella Destra di Francesco Storace). È stato candidato non eletto sia alla presidenza della Sicilia (2006) sia come sindaco di Catania (2008). Ha sempre guadagnato numerosissimi voti anche quando non ce l'ha fatta e la sua rispettabilità l'ha portato nel 2011 a varcare la soglia del governo nazionale come sottosegretario al ministero del Lavoro. Poi l'altra sfortunata candidatura per Palazzo d'Orléans (sconfitto da Rosario Crocetta nel 2012), quindi un periodo di operoso silenzio fino all'avventura trionfale del 2017 nelle file di Giorgia Meloni e sotto le maginifiche insegne della sua ultima creatura politica sicilianocentrica: #Diventerà bellissima.

CARATURA MORALE
Insomma Musumeci è quel che oggi si definirebbe un competente, uno che ha studiato nelle Università e sul territorio così come in banca e nel giornalismo, nelle istituzioni italiane e in quelle internazionali, con una caratura morale pubblica e privata ormai fuori corso resa più autentica dalla scorta assegnatagli per l'inveterata lotta antimafia (1995-2001, 2005-2006) e da un terribile lutto famigliare che nel 2013 l'ha privato del figlio Giuseppe. Ecco, in estrema sintesi, che cosa c'è dietro quel pizzetto risorgimentale e il colto periodare di un leader politico tanto schivo da apparire spigoloso quando è costretto a esporsi, l'uomo che ha creato il grande polo culturale, fieristico e sociale nel cuore di Catania ("Le Ciminiere"), il post fascista che ha dato vita al Museo storico dello sbarco in Sicilia oltre a quello del cinema. Se ha qualche "colpa", ed è verosimile che ne abbia anche lui, fra queste è annoverabile l'essere un cittadino-soldato di tempi remoti, rigido come il bastone del comando, essendo nato in quel Militello in Val di Catania che deriverebbe dalla colonia legionaria romana allestita durante la Seconda Guerra punica: Militum Tellus, terra di militi a statuto speciale. La sua difesa della Sicilia è al limite della praticabilità costituzionale, ma è pure un tentativo audace di proteggerla dall'abbandono e dalla trascuratezza nazionale prim' ancora che dal virus e dai clandestini fuori controllo. È un istinto legalitario che nasce dall'eccezionalità siciliana, da quel dover spesso scegliere se farsi briganti o statisti, malacarne o galantuomini. Combattetelo pure, ma non fatelo passare per un esemplare contemporaneo del sovranismo: sarebbe un oltraggio per la Destra vera, europea e illuminata, che al sovranismo e all'antisovranismo dell'ultim' ora può dare parecchie lezioni di civiltà.

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