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Taglio parlamentari, Renato Farina contro il referendum grillino: "Risparmi e benefici ridicoli"

Renato Farina
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Fino a pochi giorni fa era dato per scontato il risultato del referendum confermativo (senza quorum, dunque) che si terrà il 20-21 settembre. Era arci-sicura la vittoria del "sì", vale a dire l'approvazione popolare della modifica della Costituzione che abbassa del 36,5 per cento il numero dei parlamentari: da 310 senatori a 200, da 615 deputati a 400. Questa riforma era stata votata plebiscitariamente, con i grossi partiti tutti favorevoli. In realtà, a cercare ragioni profonde di questo taglio, ci si trova davanti all'ideologia del M5S. La ratio è il declassamento progressivo della democrazia rappresentativa, ritenuta una offesa al principio «uno vale uno». Leggere i testi fondativi di Grillo e Casaleggio sarebbe istruttivo per capire come il "sì" darebbe una mano a questa progettata fine della democrazia liberale occidentale. È la Rete ad essere il Principe. Intanto, dicono i 5 Stelle, lasciate a noi la torta. La gente non capirebbe la manfrina. Così siccome non si può abbattere la fauna del Parlamento con la mannaia tramite rivoluzione (troppa fatica?), si comincia a convincere la gente a fucilarne un tot. Si preferisce coglionare la gente con la motivazione pratica, forte e irresistibile. I Parlamentari costano, meno ce n'è, meno spese per i cittadini. Come ci si fa a opporre a un'argomentazione così semplice e rotonda, in presenza di una sfiducia diffusa verso la politica? Gli altri partiti hanno giustificato il voto favorevole in vari e fantasiosi modi: in realtà tutte panzane dettate dalla paura di far la figura, in caso di no, dei difensori del magna-magna eccetera. Meglio amputarsi un braccio e darlo in pasto all'orda famelica sperando che si acquieti contentandosi.

 

 

 I sondaggi parlavano fino ad alcune settimane fa dell'80 per cento per il "sì". Adesso, nonostante nessun partito (tranne quello della Bonino) si sia schierato apertamente per il "no" a 11 giorni dall'apertura dei seggi il margine dei favorevoli al taglio si è ridotto: siamo circa 60 a 40. Si sta facendo largo qualche dubbio. Chi scrive resta convinto che alla fine vinceranno i "sì". Appartiene alla natura umana la difesa cocciuta del proprio spazio vitale, e sembra di tutelarlo meglio se si riduce quello degli altri. Sono sicuro che se ci fosse da votare per il dimezzamento degli statali, ci sarebbe un plebiscito favorevole, tranne gli statali coi loro parenti. Anche se si votasse - che so - per la decimazione dei giornalisti o degli avvocati il popolo procederebbe con la scimitarra verso urne trionfali. Qualcuno comincia a osservare però che il referendum forse non sforbicerà solo 345 rappresentanti del popolo, ma provocherà conseguenze serie di vario genere al funzionamento della Repubblica, che non è un edificio costituito con il lego, ma un organismo sia pure malato. Lo sfoltimento dei ranghi del Parlamento non è come un'operazione di appendicite, con cui si taglia un pezzettino di intestino infiammato, si ricuce e si è più felici. Ma equivale a trinciare un pezzettino di polmone dal petto della democrazia. Ci sono organi pletorici? Eccesso di articolazioni e di ossa? Okei, ma non è che per snellire il corpo si asporta a caso qua e là con il tronchesino. Questo referendum pone in sostanza un quesito alla fine disonesto. Non si andrà affatto a votare solo per un innocuo ritocco aritmetico. Alla fine sono tanti i problemi che apre, forieri di casini multipli per tutti. 

 

I famosi risparmi. Secondo i calcoli del professor Carlo Cottarelli i risparmi annui se vince il "sì" sarebbero di cento milioni annui in stipendi. Di questi però 43 tornerebbero allo Stato in forma di tasse. Insomma: 57 milioni all'anno. La spesa pubblica è di circa 900 miliardi. L'esborso evitato dall'erario sarebbe dello 0,00000111 per cento. Va be', meglio poco che niente. Una simile inezia serve come arma di distrazione di massa indispensabile ai 5 Stelle per non spappolarsi. 2- Altro guaio. Il cittadino conta meno. Specie quello di alcune Regioni e province. L'Italia, a differenza delle altre grandi nazioni europee, ha una ricchezza di campanili e relative istanze che sarebbe compressa da una secca amputazione della rappresentanza. Risultato della mutazione grillina? Il numero medio di abitanti per deputato sale da 96.006 a 151.210 e quello per senatore 188.424 a 302.420. Volendo fare un confronto con l'Europa, più significativo per le camere «basse» che per quelle «alte» dove invece ci sono componenti non elettive, la percentuale di onorevoli scende da noi a 0,7 su centomila residenti: il dato più basso dell'Unione europea, contro lo 0,8 della Spagna e lo 0,9 di Francia e Germania. Per dimostrare che non è un problema, anzi questo dato ci avvicina alle democrazie più compiuto,

Marco Travaglio e Gigino Di Maio - i campioni del sì - citano gli Usa. Lì in effetti i membri della Camera dei rappresentanti sono 441 (435 con diritto di voto) per 319 milioni. Niente da obbiettare. Ma in America in compenso i cittadini votano per scegliersi i giudici e i procuratori. Facciamo cambio? Di certo al Senato ci sono Regioni che avrebbero un numero risicatissimo di senatori, conterebbero più o meno un tubo. 3- Rischio colpi di mano autoritari. Le commissioni parlamentari verrebbero ridimensionate enormemente specie a Palazzo Madama. Super-lavoro? No, delega ai funzionari, superficialità. Oligarchia. Quando una Commissione del Senato è in sede deliberante (cioè i suoi componenti votano direttamente una legge senza passare dall'Aula) può bastare il voto di 4 senatori per farla passare. In quattro gatti superpotenti decidono per 60 milioni di italiani. 4- Quirinale. La riduzione del 36,5 per cento degli eletti incide sul quorum per la scelta del capo dello Stato e aumenta a dismisura il peso delle Regioni nella scelta del presidente. I 58 delegati regionali avranno una forza non prevista dalla Costituzione. Può essere un bene o un male. Di certo cambia la Costituzione senza dirlo. 5- Si dice (Zingaretti lo fa per sostenere il "sì") che la riduzione dei parlamentari costringerà il Parlamento a fare le altre riforme per ammodernare la democrazia, le leggi elettorali, il funzionamento di Camera e Senato. Una promessa sul niente. Traduzione: questo governo dovrà restare in carica fino alla fine della legislatura con la scusa meravigliosa di (non) riuscire a dar forma a nuovi meccanismi per adeguarsi ai numeri. Basta così? C'è ne sarebbero altri, di problemi: più facile l'influenza delle lobby di interesse sulle leggi, poiché potranno concentrare gli sforzi su una platea più piccola e così carica di lavoro da essere meglio manipolabile; più strette le redini dei capi partito sugli eletti. Adesso però basta. E avanza. 

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