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Pietro Senaldi e il referendum: "Di Maio esulta ma il Movimento 5 Stelle è sparito. La balla della loro vittoria"

Pietro Senaldi
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Gira la grande balla che la vittoria dei SÍ al taglio dei parlamentari sia un successo di questa maggioranza. Niente di più falso. Il voto testimonia la disistima degli italiani per l'attuale Parlamento, dove Grillo ha insediato, nel 2018, il triplo degli onorevoli rispetto alla Lega, secondo partito, su per giù a pari merito con il Pd e Forza Italia. Saranno i grillini, che in questi due anni hanno ridotto di oltre il 60% i propri consensi, a subire le peggiori conseguenze della decimazione delle Camere. Di Maio oggi festeggia il funerale dei suoi colleghi pentastellati, che al prossimo giro non ci saranno più. Per conseguenza logica, e anche per rispetto dello spirito costituzionale, Camera e Senato, delegittimati prima da loro stessi con il voto per l'auto-decurtazione da parte del 97% degli eletti, e poi dagli italiani con il plebiscito di ieri, dovrebbero fare subito una legge elettorale e poi sciogliersi rapidamente. Il taglio però offre al 70% dei parlamentari della maggioranza la prospettiva di una disoccupazione certa, e perciò per assurdo aumenta le possibilità che si arrivi alla fine della legislatura. Al di là della vittoria culturale, che consiste nell'essere riusciti a imporre a tutte le forze politiche di decidere la riduzione degli eletti, i grillini sono nella sostanza i perdenti di questa tornata di elezioni amministrative. I loro candidati alla presidenza delle Regioni, a eccezione della Campania e della Puglia, non sono riusciti a raccogliere neppure il 10% dei consensi, fermandosi spesso molto al di sotto delle due cifre. L'unico aspirante governatore sostenuto dalla maggioranza giallorossa, il ligure Ferruccio Sansa, non è mai stato in partita ed è stato travolto da Giovanni Toti. Come voto di lista, i Cinquestelle sono stati sovrastati dalla Lega e dal Pd e superati nella maggior parte dei casi da Fratelli d'Italia, retrocedendo di fatto a quarta forza a livello nazionale. È un dato che, unito all'esito referendario, rivela quanto sia anacronistica l'attuale rappresentanza di M5S in Parlamento.

Senza credibilità - Cinquestelle si dimostra forte solo quando deve distruggere ma privo ormai di ogni credibilità quando si tratta di amministrare. Ne è la prova il voto disgiunto, decisivo, in Puglia e Toscana, dove gli elettori grillini hanno scelto i candidati sostenuti dai dem. Consapevole di questo, Di Maio, il vero e ormai unico leader di M5S, per allungare la vita del Movimento ha lanciato la nuova battaglia, quella del taglio degli onorevoli stipendi. È un escamotage per restare in sella e non fare quello che gli italiani gli hanno chiesto con il loro voto: ridurre la compagine parlamentare, il che è possibile solo tornando alle urne. M5S non ci pensa per nulla, ha annunciato un anno fa la dieta ma prevede di iniziare a farla solo nel 2023; per l'intanto, programma mini-digiuni, ovviamente con data da definirsi. Ridicolo. Dopo essersi tagliati anche la paghetta, pur di racimolare qualche voto i grillini arriveranno a promettere di tagliarsi i portaborse, i viaggi, poi i capelli e finanche i cosiddetti.

Divisi su tutto - Il referendum, se servisse, ha fornito l'ennesima prova dello scollamento dei giallorossi, che non è solo a Roma, dove M5S e Pd sono divisi su tutto tranne sulla determinazione a restare attaccati alla poltrona, ma anche tra gli elettorati. Oltre il 90% dei simpatizzanti grillini ha votato SÍ, mentre la maggioranza (circa il 55%) dei sostenitori di Pd e Leu ha optato per il NO. Ancora più significativo il dato di Italia Viva, a cui Renzi ha dato libertà di coscienza e dove neppure il 25% degli elettori ha confermato il taglio, passato grazie ai voti decisivi di leghisti, meloniani e forzisti. In tutti e tre i partiti del centrodestra la percentuale di coloro che hanno confermato il quesito referendario ha superato quota 70. Il grido di vittoria odierno di Di Maio in realtà è un canto del cigno, reso ancora più malinconico dal fatto che il leader grillino fa finta di non capire che il gregge grillino sbarcato in Parlamento è stato il migliore spot degli ultimi trent' anni a favore della decurtazione degli eletti. Se uno vale uno, ne basta una dozzina per tutti, e infatti, avanti così, queste saranno le dimensioni della rappresentanza pentastellata nel prossimo Parlamento.

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