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Giorgia Meloni, Pietrangelo Buttafuoco: "Una che studia i dossier, tutt'altra statura rispetto a Gianfranco Fini"

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Nel cognome ha il fuoco, che è quello dell'Etna, sotto cui è nato, ed è anche il fuoco sacro della fiamma tricolore. Ma nonostante questo, Pietrangelo Buttafuoco, giornalista, scrittore e pensatore vulcanico, non crede alla possibilità di infiammare la politica di destra con le idee. E non tanto per il vecchio assunto secondo cui se sei di destra non puoi essere intellettuale e se sei intellettuale non puoi essere di destra. Né per gli eventuali limiti dei leader attuali. Quanto perché il potere culturale è da tempo saldamente nelle mani della sinistra, che non intende affatto privarsene.

Buttafuoco, il centrodestra è maggioranza nel Paese. È pronto anche a creare un'egemonia culturale con una classe intellettuale all'altezza?

«Io credo da sempre a uno schema binario, per cui governare è cosa distinta dal comandare. A lungo la maggioranza silenziosa nel nostro Paese non ha avuto il governo, né voce né rappresentanza politica. Poi ci sono stati due esperimenti, il berlusconismo e l'esperienza gialloverde, con cui essa si è messa a governare. Ma anche in questi casi la maggioranza silenziosa non è riuscita a prendersi il comando, il potere. È una vecchia storia che risale alla Prima Repubblica, quando c'erano due chiese speculari e omogenee, che si sono poi saldate in un'unica cosa: la Dc e il Pci, confluite infine nel Pd. Ognuna aveva una propria gerarchia, esercitava un controllo capillare e disponeva di masse di manovra. Esse hanno provveduto nel tempo a un'occhiuta spartizione dei luoghi del potere, accaparrandosi informazione, università, magistratura. Ancora oggi non si scappa da questo meccanismo e quelle chiese non mollano la presa. Esse sono eredi della palude guelfa che punta alla perpetuazione al potere, mentre i ghibellini sono destinati a rimanere maggioranza silenziosa».

Con Salvini e Meloni l'intellettuale di destra potrebbe avere almeno più ascolto di quanto non ne avesse ai tempi di Berlusconi?

«Il centrodestra degli anni '90 era riuscito in un'operazione interessante: far coincidere l'astuzia di Tatarella con l'azione eversiva di Berlusconi. Erano due cavalli di razza, ma anche allora l'agenda culturale non era al centro. Se parliamo di intellettuali, Berlusconi ha sempre avuto più soggezione di un Mike Bongiorno che di un Alberto Moravia. Venendo ai leader di oggi, Meloni è una che studia con cocciutaggine e conosce i dossier. Non è Gianfranco Fini, ha ben altra statura. La Lega invece corrisponde a un blocco sociale molto importante, che ha a che fare con le saracinesche che si alzano alle 6 di mattina. La visione leghista del Paese tiene conto soprattutto di questa operosità e della necessità di affrontare problemi concreti».

Ma, insieme a una politica del fare, sarà mai possibile a destra una politica del pensare?

«Sì, ma essa non può essere studiata a tavolino, deve essere dettata dall'effervescenza del reale e orientata verso le generazioni future. La visione a breve termine di questo governo la vedi ad esempio nei marciapiedi affollati di monopattini: da lì capisci che sono dilettanti allo sbaraglio. Un vera politica "culturale" alternativa dovrebbe puntare all'aerospazio, alla ricerca scientifica, alla conquista delle stelle. Il centrodestra avrà un progetto politico quando non sarà più circondato da una pletora di avvocati, ma da un esercito di ingegneri».

E della svolta liberale della Lega voluta da Giorgetti che mi dice? Non rischia di essere letale e di farle perdere il consenso sovranista?

«No, è una cosa che faceva già Tatarella e si chiama pragmatismo. Lui utilizzava ogni prassi pur di arrivare all'obiettivo. Mi si potrebbe obiettare che il partito liberale è pur sempre quello che si riunisce in una cabina telefonica. Dall'altro lato, però, è giusto rendersi conto che, se si mettono le folle contro l'establishment, l'establishment comanda lo stesso. E allora è urgente diventare establishment, imponendosi sul deep state, cioè su burocrazia e funzionariato».

Salvini è a processo: dopo la recente perdita di voti, risalirà la china, nel caso dovesse uscire vincitore in tribunale?

«Questo argomento non tira più né in un senso né nell'altro. Nessuno crede più all'azione salvifica delle procure, ma anche il tema dell'anti-immigrazione ha perso attrattiva. La gente ora è raggelata da altre ansie, è dominata dalla paura. La paura non guarisce, non cura, ma è perfetta per mantenere lo status quo».

A questo proposito, c'è un fronte popolare e intellettuale molto critico verso la cosiddetta "dittatura sanitaria". Lei è su quel fronte?

«Io faccio bagni di realtà, rivendicando però il diritto allo spirito critico. L'Italia ha passato settimane pesanti in cui ogni giorno c'era una sequenza di morti. Al circo Barnum delle opinioni preferisco sempre la scuola del realismo, quella del dottor Semmelweis, ispirata al principio "Lavatevi le mani". Allo stesso tempo però non vorrei che la curva dei morti venisse superata dalla curva dei fallimenti, dalla crescita esponenziale di disoccupazione e licenziamenti».

Intanto, con il prolungamento dello stato di emergenza, Conte si è prolungato la permanenza al potere?

«Lui è l'espressione del guelfismo, del potere che non vuole schiodarsi dalla poltrona. Ma è anche la nostra Meghan Markle: come lei, si è ritrovato lì quasi per caso e tornerà presto nel meritato oblio».

A breve ci saranno le elezioni americane. L'immagine di Trump è uscita rafforzata dopo l'esperienza personale del Covid?

«Trump non è la mia tazza di te, come dicono gli inglesi per indicare che "non è roba per me". Tuttavia la sua frase "non abbiate paura", pronunciata dopo aver affrontato il Covid, ha una forza quasi evangelica. Ricorda il messaggio analogo di Giovanni Paolo II, e contiene l'invito a un'azione spirituale dirompente, cancellata dalla pandemia: quella del bacio al lebbroso. Quanto all'esito delle elezioni, occhio: chi dà Biden trionfatore mi ricorda quelli che giuravano che l'Emilia Romagna sarebbe passata alla Lega».

 

 

 

Per chiudere, torniamo agli intellettuali. Quando vedremo Buttafuoco scrivere di nuovo su un giornale di destra?

«Chissà, bisognerebbe chiederlo ai giornali di destra».

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