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Coronavirus, il governo svende i porti italiani alla Cina: così ci facciamo comprare da Pechino

Nicola Apollonio
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C'è un tarlo che mi rode il cervello: e se il coronavirus fosse davvero un prodotto artificiale sfuggito al controllo di quell'ormai famoso laboratorio militare di Wuhan, in Cina, come ha più volte sostenuto il Premio Nobel francese Luc Montagnier, e non un casuale trasferimento dell'infezione dal pipistrello all'uomo, come altri scienziati ritengono più verosimile? E perché sono stati spenti i riflettori sulle effettive cause che hanno determinato una pandemia che ci tiene ancora sotto scacco e che, anzi, mostra di andare ancora per le lunghe, vista la nuova ondata di contagi che si sta verificando in Europa e nel mondo, con feriti e un certo numero di morti? Com' è che nessuno parla più della situazione sanitaria nella Repubblica Popolare cinese, di altri eventuali contagi o di altre vittime che potrebbero esserci state (oppure no) dopo le circa tremila registrate alla fine del 2019? Non fanno sapere più nulla. Soltanto che il Pil del Paese dagli occhi a mandorla, negli ultimi mesi, è in forte crescita mentre le economie del resto del mondo tirano il fiato.

 

 

VANTAGGI ECONOMICI
Eppure, il ministro degli Esteri Giggino Di Maio, fautore dell'accordo per portare l'Italia sulla nuova "via della seta" voluta dal furbacchione presidente Xi Jinping, dovrebbe disporre di qualche elemento in più per spiegare agli italiani le motivazioni che, malgrado la crisi economica mondiale causata dal coronavirus, stanno procurando soltanto alla Cina un accrescimento del prodotto interno lordo. Quel che sappiamo, invece, è che mentre la nostra economia arranca, i cinesi hanno già messo in qualche modo le mani sul porto di Gioia Tauro, in Calabria, dove hanno fatto arrivare sei gru a cavalletto tra le più grandi al mondo, capaci di lavorare navi da 22mila tonnellate con un braccio d'estensione che copre ben 24 file di containers. Poi, c'è anche il caso delle intenzioni cinesi di mettere le mani sul porto di Taranto, e per questo l'eurodeputata della Lega Anna Bonfrisco ha presentato un'interrogazione alla Commissione Ue chiedendo di accendere i riflettori comunitari sulla possibile vendita di un'infrastruttura strategica di portata europea.

LE INFRASTRUTTURE
Il porto, assieme a Genova, Trieste, Ravenna, Venezia, Palermo e Gioia Tauro, figurava già fra le infrastrutture interessate dalla Silk Road, la nuova Via della Seta marittima di Xi Jinping inaugurata in Italia con la visita ufficiale del presidente cinese nel marzo dell'anno scorso. E pure il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, a novembre, in visita all'expo sull'import di Shanghai, aveva parlato di «un interesse che porterà presto ad iniziative» a Taranto. Ma quello della città pugliese, oltre che un importante porto italiano, è un terminale di non secondaria importanza per l'Ue e per la Nato. Nel Mar Piccolo e nel Mar Grande, la Nato ha infrastrutture militari strategiche per il fianco Sud dell'alleanza. «Il rischio è che l'operazione dia inizio a un riequilibrio geopolitico - ha spiegato l'on. Bonfrisco -. Non possiamo costituire un pericolo per noi e per l'Europa intera. Accettare il rischio che la presenza cinese apra la strada anche solo ad attività di spionaggio è per noi inaccettabile». Ma Di Maio di queste cose non parla. Come se non bastasse quel maledetto virus arrivato dall'altra parte del mondo, ora ci tocca stare con gli occhi ben aperti per evitare che i cinesi ci entrino in casa. Con o senza merci. Quella del mare, si sa, è la via più adatta per evitare ogni controllo. 

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