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Pietro Senaldi spezza una lancia a favore di Lucia Azzolina: "La scuola? Tutti la processano, ma è sicura"

Pietro Senaldi
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 In tema di Covid ciascuno dice la sua e tira l'acqua al proprio mulino, virologi e ministri compresi. Anche i dati sono soggetti a interpretazione. Gli unici certi sono quelli di terapie intensive e decessi. Quanto alla quantità dei contagi, essa è proporzionale ai tamponi fatti e non scatta una fotografia reale dello stato di diffusione del virus. Ecco quanto ci sentiamo di dire ai lettori. Primo: niente panico, la situazione è seria ma non siamo alla primavera scorsa. Il Corona finora uccide qualche decina di persone al giorno, già in cattive condizioni di salute prima di contagiarsi o comunque debilitate dall'età avanzata; in aprile abbiamo toccato quota mille e tra le vittime c'erano anche individui sani e giovani. Aveva ragione il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto Farmacologico Mario Negri, quando, ad agosto, pronosticò a Libero che la seconda ondata sarebbe stata meno letale, anche se il virus si sarebbe trasmesso più facilmente. Tranquillizzanti pure le dichiarazioni del presidente della Società italiana ed europea di Virologia, Giorgio Palù, secondo il quale oltre il 95% dei positivi è asintomatico, e del professor Luciano Gattinoni, già direttore del dipartimento di terapia intensiva del Policlinico di Milano e ora professore in Germania, che afferma che solo un infetto su venti ha una carica virale in grado di trasmettere il contagio. Dal fronte degli ospedali, l'infettivologo del San Martino di Genova, Matteo Bassetti, ammonisce a non cedere all'allarmismo, perché adesso sappiamo meglio come curare i malati e i ricoveri sono pochi rispetto ai positivi.

Attualmente abbiamo 400 persone in terapia intensiva - il che non significa intubate - su poco meno di centomila contagiati e la durata della degenza è molto più breve rispetto a primavera. Questo non significa che la seconda ondata non debba preoccupare. Solo va contestualizzata. Le colpe del governo se il Covid rialza la testa sono evidenti. Non c'è nulla di sorprendente nell'aumento dei malati. Stiamo ancora meglio degli altri in Europa perché abbiamo fatto la chiusura più lunga e severa di tutti, tre mesi. Questo ci ha garantito un'estate tranquilla, che l'esecutivo ha sprecato come una cicala, cantando le proprie lodi senza prepararsi all'autunno. Le mascherine e il distanziamento sociale che ci vengono imposti sono giusti per prevenire, ma la diffusione del virus non è dovuta ai comportamenti dissennati degli italiani e neppure a quei quattro gatti che due mesi fa sono andati a ballare in Costa Smeralda. Il Corona è tornato perché, seppure in ritardo, come giusto e prevedibile abbiamo ripreso la vita di sempre, però Conte e i suoi non hanno messo le città in sicurezza, soprattutto sul fronte dei trasporti. Il tema caldo di questi giorni è la scuola, grande accusata non in quanto colpevole ma perché non conta nulla, tant' è che in Italia è più facile fermare le lezioni che il Campionato di calcio. La serie A ha decine di infetti, ma se il Napoli si rifiuta di giocare causa Covid viene punito duramente. De Luca invece può decidere in un attimo la serrata delle aule per due settimane e farsi un baffo delle proteste della ministra Azzolina, che vive come un affronto personale l'iniziativa del governatore campano e tuona: «Scelta gravissima». Non ha tutti i torti se, come riporta l'Istituto Superiore di Sanità, le scuole costituiscono solo il 3,8% dei focolai. In classe, secondo i dati sciorinati dalla responsabile dell'Istruzione, gli studenti positivi sono lo 0,08% (5.800) e i professori lo 0,1%, (mille) contro una media nazionale, dall'inizio della pandemia, dello 0,6% (390mila persone su 60 milioni di abitanti). Un balletto squallido. A primavera, quando era costretta a tenere gli studenti fuori dalle aule, donna Lucia sosteneva che le lezioni via computer funzionassero meglio di quelle dal vivo, perché se avesse detto la verità, ovverosia che la scuola via web ha fallito, l'avrebbero fatta nera. Oggi invece afferma che i ragazzi devono restare in classe, non perché abbia cambiato idea ma solo in quanto, se le classi chiudono, lei finisce sul banco degli imputati e va a casa con le orecchie da somaro. La verità sta nel mezzo. A lezione ci si infetta poco, molto meno che a casa o sull'autobus, in quanto i professori fanno rispettare le regole. La scuola non è un propagatore del contagio, però è un incubatore, perché tutto quello che c'è intorno non funziona altrettanto bene, a partire dai mezzi pubblici usati per raggiungere gli istituti, per continuare con la lentezza nell'effettuare i tamponi che causa la sospensione delle lezioni per settimane se si ha un positivo in classe. Se la Azzolina e il governo ci tenessero davvero alle lezioni in aula, non svuoterebbero le classi al primo positivo asintomatico. Avrebbero fin dal primo giorno allestito negli istituti sale mediche dove fare il test agli studenti, per poter continuare l'insegnamento in sede senza spedire a casa per settimane ragazzi sani.

 

 

La situazione rischia anche di peggiorare nelle prossime settimane se la ministra non sospenderà il concorso in programma dal 22 ottobre al 16 novembre. È prevista una transumanza di aspiranti professori che rischia di rivelarsi una bomba batteriologica: solo in Lombardia sono attesi in 12mila, che arriveranno da tutta Italia e poi torneranno a casa. Nel complesso si muoveranno settantamila persone. Avanti dunque con le lezioni in classe, meno pericolose di una cena da amici, di una serata in discoteca o di un fine settimana in montagna e perché i minorenni, anche se diventano positivi, difficilmente versano in condizioni gravi. Ma può continuare ad andare a scuola solo chi non perde alla lotteria del tampone. I nostri studenti sono da tempo tra i meno preparati d'Europa quando frequentano, figurarsi se stanno a casa. Più proficuo per la cultura e per la salute del Paese sospendere le visite dai nonni piuttosto che le lezioni. La didattica a distanza rende poco. Io, studente non eccelso, ne sono un precursore. La praticavo già negli anni '80, frequentando meno del dovuto, e posso garantire che non dà problemi di socialità, quanto piuttosto d'apprendimento. I nostri ragazzi hanno fatto quattro mesi a casa l'anno scorso; se assisteranno alle lezioni in pigiama anche a questo giro, avranno fatto metà elementari, medie o liceo senza stare sui banchi. Poiché l'istruzione determina la qualità della vita delle persone, significa che stiamo fregando il futuro a due generazioni. 

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