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Lucia Azzolina, giungla di regole in classe: la scuola la stanno salvando i bambini

Francesco Specchia
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Macché popolo di Azzoline, docenti e provveditori: la scuola italiana la salveranno i bambini. «Mi sento in dovere, a nome di tutto il corpo insegnanti di ringraziare prima di tutto i vostri figli. Se non ci fossero loro, così ligi alle regole e così determinati ogni giorno, probabilmente noi non ce la faremmo». La signora Tiziana è una maestra vecchio stampo. Titolare di cattedra di una scuola di Cusano, un paesello dell'hinterland milanese, la Tiziana sfodera sempre, nell'ordine: un tono educato ma deciso, nessuna cessione all'ammicco, e occhiali calcati sullo sguardo rapace in grado di monitorare in un nanosecondo l'intera filiera dei banchi che incapsulano i piccoli alunni in grembiule e mascherina. La Tiziana parla e pensa come un colonnello prussiano, il fiato lo spreca solo quando insegna. Sicché, quando, in collegamento Zoom, all'esordio della riunione di classe della prima elementare di mio figlio, la prussiana ringrazia pubblicamente gli alunni di anni 6 invece del ministro dell'Istruzione o della preside e, quegli stessi alunni, li eleva a modello sociale; be', la cosa spiazza noi genitori. «Sì, noi pensavamo alle tragedie dovute alle strette regole anti-Covid per i bimbi, invece sono loro quelli che stanno dando l'esempio», continua la Tiziana con voce tonante, coinvolgendo la collega Claudia, freschissima di ruolo e il maestro di sostegno che sembra il Perboni del libro Cuore, e quella di religione molto utile per affidarsi all'Onnipotente in questo periodo.

 

 

FUTURO INCERTO
«I bimbi capiscono più dei grandi, si fermano sulle sedie, riordinano come fosse un gioco i ricambi disinfettati nello zaino, tengono le distanze anche se si vede che vorrebbero abbracciarsi, tengono sempre la mascherina, e appena vedono un grande senza, gli chiedono di mettersela. Sono pazienti, calmi, tendono a non avvicinarsi ai nonni perché sanno che possono essere "asintomatici", anche se non hanno ancora idea di cosa voglia dire», riprende la maestra discettando, poi, di materiale didattico, di musica, di coding, di educazione fisica e di tutte le materie in perfetto svolgimento, sempre che la scuola tenga l'argine della pandemia. Certo, visti i tempi, l'istituzione è pericolante, dirigenti e personale si muovono sulle ordinanze come sulle uova, basta un refolo da una Asl qualsiasi, un decimale di febbre o un colpo di tosse in più, per far scattare i protocolli e per buttar giù tutto. Infatti nonostante le rassicurazioni dell'ultimo Dpcm, la preside ha ufficialmente invitato le famiglie ad «aprire i profili degli alunni su We School, il sistema Google per la Dad». Come dire: per ora reggiamo, ma preparatevi alla mitica "didattica a distanza". Ovvero lo stagliarsi dell'apocalisse per ogni genitore con più di un figlio a carico. In Lombardia tira una brutta aria, tra i banchi. Ma al di là di tutto, è chiaro il paradosso. Mentre le città italiane sono messe a ferro e fuoco dai cortei antichiusura; mentre virologi e epidemiologi si rimballano scenari di guerra; mentre la situazione è tornata quella di marzo, grigia e senza luce oltre il tunnel; mentre la gente si dispera e il panico alimenta dubbi e dissensi; mentre accade tutto questo, be', l'esempio ce lo stanno dando i bambini. E non l'avrei mai pensato. I bambini hanno la resistenza di un muflone. Li hanno divisi in "classi bolle" come quelle del modello danese che tendono a non incontrarsi mai.

IRREPRENSIBILI
Li hanno obbligati a stare seduti, inchiodati sui banchi anche durante la ricreazione come tanti piccoli San Sebastiani legati alle seggioline e trafitti dai colori a pastello. Li hanno costretti a mettersi in fila, pietrificati, in silenzio, distanziati ad aspettare il proprio turno alla mensa, guardando mangiare i compagni più grandi del turno precedente neanche fossero alla Cayenna. Pensavo che a questo punto i bimbi scoppiassero. Credevo che il mio piccolo barbaro e la sua banda di compagnucci che, ai tempi, devastavano l'asilo, avrebbero, alla fine, legato le maestre alla lavagna e fatto falò delle mascherine; e si sarebbero aggrovigliati in liberatorie prese di wrestling. Invece, no. Invece ora sono i bambini piccoli (forse troppo istruiti, a volte terrorizzati) ad instradare i grandi, a ricordarci che «Papi, andrà tutto bene» anche se i Papi darebbero craniate al muro. Consiglierei di rivedere, dalle teche Rai il bellissimo documentario di Luigi Comencini, I bambini e noi, anno 1970. Nel reportage dedicato alla "Fatica" erano i bambini a reggere la tensione dei bassi napoletani; erano loro a sorridere nella povertà, ad essere allenati al dolore e alla fatica. Di questi tempi, quando vi sembra che la situazione superi il livello di guardia, andate nella loro stanzetta e date una carezza ai vostri figli. E, senza retorica, dite loro che è la carezza della maestra Tiziana, e di tutti quei papà e quelle mamme alla ricerca del lampo nella notte. E, se vi cazzieranno perché non portate la mascherina, sorridete...

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