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Decreto Ristori, ma non per tutti: chi non vedrà il becco di un quattrino

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Foto:  Lapresse

Attilio Barbieri
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Al grido di «libertà, libertà» centinaia di persone sono scese in piazza, ieri sera, nel centro di Firenze per manifestare contro le ultime restrizioni varate dal governo Conte. Il corteo, non autorizzato, ha marciato verso piazza della Signoria tra lanci di bottiglie e fumogeni, ci sono state tensioni con la polizia, devastazioni, 2 fermati e qualche ferito. La gente è stanca di come l'esecutivo sta gestendo l'emergenza Covid e non basta promettere sussidi. Il decreto ristori, infatti, è entrato in vigore giovedì ma già si allunga la lista delle imprese e delle associazioni di categoria che lamentano l'esclusione dalle misure disposte dal governo a vantaggio delle attività colpite dalle chiusure anti Covid. L'esclusione è determinata dall'omissione dei codici Ateco di molte attività nell'elenco di quelle beneficiate dai contributi a fondo perduto. Talvolta il ristoro è previsto per alcune attività e non per altre incluse nella medesima filiera. È il caso ad esempio di chi allestisce e installa gli stand per gli eventi fieristici. Mentre i noleggiatori delle medesime attrezzature sono compresi. Perché? Mistero. Fra le esclusioni più clamorose si segnalano quelle di commercialisti, agenti di commercio e consulenti del lavoro, oltre a colf e badanti. Tagliate fuori le lavanderie industriali e perfino gli autobus turistici, la cui attività rischia di essere quasi del tutto azzerata già con questo pacchetto di misure anti Covid.

Paradossale pure il caso di chi esercita l'attività di ristorazione ma in franchising, con il cappello di un'insegna famosa. «Il Dl Ristori dimentica completamente le imprese che operano in franchising. Molte attività infatti non hanno codici Ateco specifici pur lavorando in settori inseriti nel Decreto, come ad esempio la ristorazione», denuncia Alessandro Ravecca, presidente di Federfranchising Confesercenti. «Ci battiamo da tempo - aggiunge - per il riconoscimento di un codice Ateco specifico per il franchising che non esiste tuttora: molte imprese, al momento della costituzione, hanno inserito un codice che ora non rispecchia la reale attività svolta». E non vedranno un centesimo. E c'è il caso delle decine di migliaia di persone che operano nella filiera dell'Horeca (hotel, ristoranti e bar), ma che non sono neppure stati presi in considerazione. Come le migliaia di distributori di bevande raggruppati da Italgrob e i produttori di acqua e bibite rappresentati da Assobibe che assieme ad Assobirra chiedono «di non focalizzare le misure solo sui punti vendita finali, e di aggiungere i codici Ateco dei soggetti che riforniscono le attività dell'Horeca, di fatto chiuse, e ripensare accise e nuove tasse in arrivo nel 2021 che aumenteranno l'effetto recessivo». E non è finita qui. Soltanto in Veneto, secondo la Cna restano tagliate fuori dai ristori 2.800 attività artigianali dedicate alla preparazione di cibo da asporto. «In pratica tutto l'artigianato della ristorazione: pizzerie al taglio, gastronomie, rosticcerie, piadinerie, gelaterie», spiega Mirco Froncolati, portavoce Horeca Cna Veneto, che aggiunge: «Non sono previste nel decreto neppure misure specifiche per il settore della fotografia. Con quasi mille professionisti esclusi». 

 

 

 

Tagliato fuori un altro comparto delicato, quello della proprietà edilizia con tanti proprietari di case e locali commerciali «che da mesi non ricevono il canone di locazione per assenza di inquilini o per situazioni di morosità negli affitti di lunga durata», come afferma il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa. Intanto uno studio assolverebbe bar e ristoranti dal sospetto che siano un luogo di contagio. Mentre «non esistono mezzi scientifici per dire quali siano i luoghi in cui il rischio di contrarre il Covid 19 è più alto, possiamo sapere quali siano i luoghi dove ci si contagia meno o affatto: palestre, bar, ristoranti, cinema e teatri», spiega Claudio Giorlandino direttore scientifico del centro Altamedica di Roma che ha condotto uno studio sottoposto al Journal of Medical Virology. «Si tratta», aggiunge Giorlandino, «del primo studio scientifico di esclusione della sede di contagio».

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