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Giuseppe Conte? L'Italia a pezzi e lui fa la diva sullo scalone di Palazzo Chigi: come Wanda Osiris

Nicola Apollonio
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Guardare in tv il premier Giuseppe Conte scendere le scale di Palazzo Chigi con un paio di fascicoli sui «ristori» sotto il braccio fa tornare alla mente Wanda Osiris, la prima Diva dello spettacolo leggero italiano, divenuta un'icona per come amava scendere le scale attorniata da giovani ballerini che lei stessa sceglieva. In realtà, quando si fa filmare che scende lo scalone del principesco palazzo che si affaccia su piazza Colonna, il presidente del Consiglio vuole essere ripreso da solo, senza paggetti e donzelle intorno. Lui e lui soltanto, perché gli sguardi dei telespettatori non sciupino la sua immagine, col ciuffo di capelli che gli scende sulla fronte. L'ala di collaboratori e di agenti di scorta che lo circonda quando - sempre di gran lena - si fa vedere fuori dalle mura ovattate la riserva per affrontare i cronisti, per stringere la mano a qualche passante, per mostrarsi come il dandy-più dandy del reame. Abiti rigorosamente scuri, cravatte sul celeste-cielo, collo della camicia alla francese e pochette sempre bianca infilata nel taschino con maniaca cura, perché si veda e non si veda. Un po' come i suoi discorsi, fatti più di annunci che di fatti concreti, più di fatue promesse che di impegni effettivi. Credere o non credere, è lo stesso. Per lui, importante è stare sulla scena. Come Wanda Osiris.

SOLDI, SOLDI... A PAROLE
Miliardi di qua e di là. Una montagna di soldi fatta in frantumi che ha scontentato un po' tutte le categorie, lavoratori e imprenditori. Ma lui, il premier più maratoneta della storia, sale e scende lo scalone d'onore del Palazzo con l'aria insofferente di dover fronteggiare mille questioni. Ciò che non gli si può negare è la capacità a lanciare proclami e varare Dpcm che poi ritirerà il giorno dopo, nonostante la clausola del «salvo intese»! Un'altra delle sue invenzioni per mettere le mani avanti e avvertire i cittadini che se le cose non vanno nel verso giusto, la colpa non è sua ma degli altri, che non hanno «inteso» condividere una qualche sua decisione. È probabile che se non fosse arrivato quel maledetto virus cinese, il professore di Volturara Appula in provincia di Foggia e devoto di San Padre Pio avrebbe visto la sua esperienza da politico consumarsi in brevissimo tempo.

 

 

Per Giuseppi - come lo chiamava Donald Trump - sarebbe stata la fine di una stagione fatta di orpelli e lustrini, cocciutamente voluta dai Cinque Stelle. Il Covid, invece, gli ha consentito di restare inchiodato alla poltrona per dirigere le operazioni di contenimento del disastro sanitario ed economico causato dalla pandemia. Ma, più che riuscire ad arginare i danni, il premier Conte è stato solo capace a indebitarci chissà per quanti anni a venire, ipotecando il futuro dei nostri figli e nipoti. Centocinquanta miliardi di euro, dicono. Ai quali bisognerà poi aggiungere gli interessi che si dovranno pagare sulla somma che l'Unione europea deciderà di prestarci. Tanti soldi e tutti in debito, per cose giuste e anche ingiuste, perché inutili. Ma mai che Conte e il suo ministro dell'Economia Gualtieri pensino di operare qualche taglio delle tasse. A noi tocca soffrire, mentre Conte se la gode andando a sgambettare di qua e di là. Forse, a caccia del famoso «pozzo di San Patrizio», visto che ha preso gusto a decretare bonus per la spesa a disoccupati con 300mila euro sul conto e redditi di cittadinanza finanche a qualche killer, come l'assassino del giudice Livatino.

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