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Filippo Facci, tutti i dubbi sul vaccino: "Sono tre, quale useremo? Possiamo credere alle parole di Conte?

Filippo Facci
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Se il buongiorno si vede dal vaccino, buonanotte. La versione aggiornata del celebre «siamo prontissimi» (detto da Giuseppe Conte il 27 gennaio scorso, nella stessa trasmissione dov' è tornato ieri sera) è questa: «Il vaccino arriverà a inizio dicembre», frase pronunciata il 20 ottobre e ripetuta il 31. Conte parlava dell'Oxford-Irbm Pomezia-Astrazeneca, questo vaccino dal nome inquietante (sa di Star Trek) ma a smentirlo ha provveduto un signore che di ritardi se ne intende: il commissario Domenico Arcuri in data 19 novembre, che ha parlato genericamente di «metà gennaio» peraltro aggiungendo che si stava parlando del vaccino sviluppato da Pfizer/Biontech. Il primo basta conservarlo in un normale frigorifero, il secondo abbisogna di climi da Antartide.

 

 

Inoltre si parla di un quantitativo minimo iniziale, buono alla profilassi di 1,7 milioni di italiani (questo almeno ha detto Arcuri: Conte vagheggiava di 2/3 milioni) e quindi non solo parliamo di una differenza di un mese e mezzo che forse andrebbe misurata in morti, ma piacerebbe sapere quanti italiani siano disposti a credere che la data definitiva sarà effettivamente rispettata. Nella ballata del vaccino potremmo poi sciorinare tutti gli invitati annunciati via via (con relativa fase da 1 a 3, senza contare quello russo e cinese) ma sarebbe noioso. Lo sarebbe anche aggiungere le sparate del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che in ottobre aveva parlato di vaccini da fine novembre/inizio dicembre. Ricordiamo solo che qualsiasi vaccino - e il più progredito, in tal senso, è quello di Pfizer - dovrà prima passare dal vaglio delle varie agenzie di controllo: negli Usa si chiama Fda, nell'Inghilterra post-Brexit si chiama Mhra, in Europa c'è l'Ema (agenzia europea per i medicinali) e poi ci sarebbero le agenzie dei singoli stati: in Germania è il Pei, in Italia è l'Aifa.

LE AUTORITÀ DI CONTROLLO
Ieri Piero Di Lorenzo, amministratore delegato della Irbm (vaccino Oxford-Pomezia-Astrazeneca) è stato furbo e non ha parlato di date, ma le sue parole fanno capire molto: «Se la validazione arriverà prima di Natale, dovremmo avere subito circa 2 milioni di dosi per gli operatori sanitari e i più fragili». Se. Prima di Natale. 2 milioni. E per tutti gli altri? «Verranno consegnati a lotti nei mesi successivi». Mesi. Successivi. Stiamo parlando di 70 milioni di dosi in un semestre, contando anche i richiami. Meno male che «sui tempi della commercializzazione siamo fiduciosi», ha detto, per il resto «aspettiamo le operazioni di controllo delle autorità regolatorie». Aspettiamo anche noi, non si sa quanto fiduciosi. Il metro di paragone resta la Germania, anche se spesso è troppo mitizzata e si fa dell'esterofilia. Quando dice che i tedeschi hanno il triplo delle nostre terapie intensive, per esempio, non si precisa mai che hanno anche 83 milioni di abitanti: quindi hanno più terapie intensive, sì, ma non il triplo. Poi è falso che la Germania conteggi i morti solo «per coronavirus» e non «con coronavirus», e lo ha certificato anche l'Istituto Koch: il criterio è lo stesso dell'Istituto Superiore di Sanità. Poi è vero che l'età media dei malati - differenza notevole - vede in Germania un'età mediana dei malati molto più bassa, con tassi di mortalità più bassi di conseguenza. La Germania ha più asili e strutture per tenere i figli rispetto a un Italia notoriamente più «mammona» e con un concetto di famiglia allargata o, se volete, un modello di «welfare nostrano» che accoglie i nonni direttamente in casa, o nei dintorni. Anche questo è noto, come lo è che gli anziani in Germania stanno più tra di loro, mentre i nostri anziani si mescolano di più: dato confermato dal Centro di Scienze Demografiche di Oxford, che ha analizzato l'impatto della demografia sui differenziali di mortalità.

PARAGONI SCOMODI
Da qui in poi, però, cominciano le differenze tra ciò che non funziona in Italia e in Germania sì. I tamponi: sin dall'inizio della pandemia i loro medici di base hanno avuto la possibilità di farli, i nostri no. Tornando al vaccino, la Germania aveva già programmato l'attivazione di 60 centri di vaccinazione (nei 17 Stati federali del suo territorio) in data 10 novembre: noi, diciamo, non ancora. Poi: il Domenico Arcuri della Germania è lo stimato e storico ex capo dei Vigili del fuoco Albrecht Broemme, che sino al 2019 ha comandato anche l'Agenzia federale per i soccorsi tecnici, tipo la nostra Protezione civile; mentre noi abbiamo appunto il soporifero Arcuri, esempio di demeritocrazia su mascherine, respiratori, bandi, tamponi e cablatura delle scuole (elenco sicuramente incompleto) nonché coprotagonista di conferenze stampa sembrano sperimentazioni di sedazione collettiva. Ma, per restare al presente, le differenze tra Italia e Germania si sostanziano nel fatto (fatto, non annuncio) che il governo tedesco ha detto che avvierà la sua campagna di vaccinazioni a metà dicembre: e se dicono una cosa, in genere la mantengono.

Il loro ministro della Salute, Jens Spahn, ha detto un «siamo prontissimi» che dalle sue parti è ancora credibile: «Dopo l'approvazione europea, avvieremo la vaccinazione immediatamente». Ossia «a metà dicembre». Ha detto ancora: «Ho chiesto che i lander abbiano i centri vaccinali pronti per metà dicembre, credo che funzionerà». E quanto tempo servirà - domanda - per vaccinare 80 e passa milioni di tedeschi? Su questo non ha fatto date, anche perché in pista hanno diversi vaccini e non tutti richiedono un'intensa refrigerazione, quindi «possono essere somministrati nello studio del medico di base, si farà presto». Noi non possiamo somministrarli nello studio del medico di base, perché la figura del medico di base in Italia è stata depotenziata e sostanzialmente emarginata. La Germania riceverà oltre 300 milioni di dosi del vaccino, e, «anche con due dosi per vaccinazione, ne avremo abbastanza per la nostra popolazione e potremo condividerla con altri Paesi, questo nello scenario più favorevole». Sono pur sempre le promesse di un politico, ma provate a immaginare che le stesse parole le abbia pronunciate il suo omologo italiano - Roberto Speranza - e valutate a chi, tra i due, dareste più affidamento.

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