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Paolo Becchi contro Pd e M5s: "Il loro obiettivo? Indebolire le regioni sfruttando la pandemia"

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Paolo Becchi e Giuseppe Palma
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L'emergenza sanitaria è stata gestita sinora da Conte con un protagonismo che ha fatto scomparire persino i leader dei partiti che lo sostengono. Il presidente del Consiglio è continuamente in tv, è lui il salvatore della patria, salvo poi scaricare astutamente l'adozione delle misure più impopolari su sindaci e presidenti di regione. A marzo-aprile da Roma mandarono mascherine buone solo a pulire gli occhiali, mentre la patata bollente delle terapie intensive e dell'assunzione di nuovo personale medico-sanitario fu lasciata ai governatori. Fontana fu messo in un tritacarne mentre Zaia riuscì abilmente a cavarsela. Per fortuna che a Milano furono realizzate le tanto vituperate terapie intensive in Fiera, altrimenti oggi sarebbero guai. Ma non c'è solo la questione sanitaria. Su scuole e università c'è stata una confusione pazzesca. Se a marzo-aprile ha regnato il "tutti a casa", a novembre non s' è capito più nulla, con scuole superiori e università in didattica a distanza (salvo eccezioni) mentre scuole medie nel limbo e scuole elementari in presenza. Il tutto a seconda del colore attribuito a ciascuna regione da un'ordinanza del ministero della Salute. Siamo pur sempre il Paese della commedia dell'arte e di Arlecchino. Sull'adozione dei Protocolli Covid ogni Regione sta facendo un po' come le pare, con regole su tamponi e quarantene applicate in modo differente da regione a regione, senza una linea comune.

 

 

 

La costituzione - Eppure la Costituzione, sul punto, parla chiaro. Ai sensi dell'art. 117 la materia sanitaria e quella scolastica sono di competenza concorrente Stato-Regioni, con lo Stato che deve limitarsi ad emanare soltanto leggi-quadro, determinando i principi fondamentali (peraltro per la verità mai in concreto definiti). In realtà, tanto a marzo quanto a novembre lo Stato è intervenuto con Dpcm - atti amministrativi del governo privi di forza di legge - mentre le Regioni hanno potuto muoversi soltanto in ambito più restrittivo rispetto a quanto stabilito dal Governo, costringendo quelle meno colpite dal virus ad applicare ugualmente misure impopolari non necessarie. Vedasi ad esempio Basilicata, Molise e Calabria, costrette al coprifuoco e alle chiusure delle attività commerciali pur in presenza di una situazione emergenziale molto meno complicata di altre. Invece di andare verso l'autonomia regionale, tra l'altro prevista dalla Costituzione e votata in un referendum popolare dai cittadini di Lombardia e Veneto, il governo giallo-rosso non ha fatto altro che complicare la vita delle Regioni con precetti amministrativi confusionari e talvolta dannosi. Si pensi ad esempio alle riaperture delle discoteche in estate: Conte dice di non averle mai riaperte mentre i suoi Dpcm non prevedevano l'espressa esclusione dalle riaperture, cosicché a settembre ha scaricato tutte le colpe su governatori e ragazzi. Se avessimo avuto una compiuta e seria autonomia regionale, ciascuna regione avrebbe potuto applicare regole proporzionate alla situazione contingente, strettamente legata al grado di gravità locale. E invece no, ha fatto tutto Conte, prima con il lockdown totale poi con la suddivisione della penisola in colori. Addirittura in alcuni casi il governo ha pure impugnato le delibere regionali salvo poi addossare sui governatori le gravi inefficienze dell'esecutivo. Un rimpallo di responsabilità che alla fine non ha fatto altro che indebolire le Regioni a tutto vantaggio del governo centrale.

La strategia - Beninteso, i poteri di emergenza sono anzitutto dello Stato e solo sussidiariamente delle Regioni (art. 120 cost.), ma allora perché scaricare ora sulle Regioni colpe che sono del Governo? Diciamola tutta, si vogliono indebolire le Regioni sfruttando l'emergenza sanitaria. La maggioranza di centro-sinistra, forte di questo oscuramento delle Regioni, ci vuole ora riprovare, come ai tempi di Renzi: tentare di inserire in Costituzione la "clausola di supremazia" che consenta allo Stato centrale di rendere vana ogni ipotesi concreta di autonomia regionale. La riforma costituzionale del Titolo V del 2001 non ha funzionato come avrebbe dovuto, ma tornare allo Stato centralista sarebbe come rivoltare la federa di un cappotto già vecchio. Dopo il taglio dei parlamentari e la contrazione della rappresentanza popolare a livello centrale, la soluzione migliore sarebbe quella di dare spazio ad una maggiore autonomia regionale, avvicinando i cittadini alle Istituzioni democratiche del proprio territorio. E invece sfruttando i morti di Covid si mira a uccidere l'autonomia delle Regioni. Dopo i DPCM siamo di fronte - nel silenzio pressoché generale - ad una nuova "rottura costituzionale".

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