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M5s, Alessandro Giuli: "Ingoieranno tutto, è il partito anti-casta che si distrugge per il potere"

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Alessandro Giuli
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Nessun timore, nessuna illusione: i cani da guardia pentastellati non consentiranno che il governo salti per aria mercoledì prossimo in Parlamento, in occasione del voto sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Pur di non perdere il posto con relativo stipendio, i quadrupedi in questione preferiranno piuttosto sbranarsi tra loro, addentando alla giugulare i pochi e isolati ribelli. Lo ha ribadito ieri il reggente Vito Crimi, dopo aver minacciato di espulsione chi deciderà «di andare contro una decisione del gruppo parlamentare», ovvero il voltafaccia stabilito per accontentare il Partito democratico e allontanare il pericolo di elezioni anticipate: «Quello che si voterà sarà una risoluzione alle comunicazioni del premier Giuseppe Conte e io sono convinto che ci sarà risoluzione unitaria di maggioranza che guarderà oltre Sono assolutamente fiducioso che ci sarà un voto positivo, sarebbe incomprensibile che l'Italia esercitasse un veto mentre si sta battendo contro i veti di altri Paesi sul Recovery Plan». La questione è fin troppo nota per confondere i toni da tragedia dei peones irriducibili con la farsa messa in scena dai vertici riuniti intorno a Luigi Di Maio. Il Movimento di Beppe Grillo a parole rifiuta il Mes e ne deplora ogni sua gradazione, dall'impianto generale alla linea di credito sanitaria su cui si appunta la cupidigia esterofila (per non dire anti italiana) della nomenclatura democratica. Ma alla prova dei fatti non esiste alleato più consentaneo agli interessi internazionali (Pechino ne sa qualcosa) e disponibile a quella feroce e inveterata delegittimazione della politica che a cadenza ciclica apre la via al commissariamento tecnocratico dell'Italia. Mes compreso.

 

 

TUTTO PER SALVARSI
Ogni altra considerazione pubblica obbedisce alla logica dissimulatoria dei cortigiani e ha la dignità dell'opera buffa fuori contesto. Ha ragione Maurizio Gasparri quando maneggia il pallottoliere preannunciando l'irrilevanza numerica degli eventuali guastatori: da 6 a poco più di 15, una fatua manciata al cospetto di una votazione a maggioranza relativa; e non aveva torto Giorgia Meloni quando, pochi giorni fa, definiva il voto di dopodomani come una cartina di tornasole, il reagente chimico che potrà definitivamente consacrare la compiuta metamorfosi dei pentastellati: preferiscono perdere la faccia e implodere piuttosto che andare a casa assieme al loro padroncino di Volturara Appula ingaggiato dall'Elevato impresario genovese con la faccia pittata da Jocker. Non che occorressero ulteriori conferme per constatare la mutazione genetica di un populismo germinato dal desiderio di abbattere la casta e inveratosi come una scorciatoia per diventare la nuova casta. E forse non di mutazione si tratta, al dunque, ma della logica conseguenza di una natura metamorfica il cui unico tratto di continuità sta nel rimanere aggrappati al potere. Dai testacoda sull'alta velocità e sulla gestione delle grandi reti infrastrutturali (Tap e Autostrade), passando per soliti minuetti dilatori su Ilva e Alitalia, nei loro due anni e mezzo di governo i grillini hanno finito per accettare ogni condizionamento lobbistico e ogni vincolo esterno, pur di non rinunciare ai privilegi acquisiti. Allearsi con loro, come hanno imparato prima l'impaziente Matteo Salvini e poi il più furbo Nicola Zingaretti, rappresenta il miglior salvacondotto per la permanenza a Palazzo Chigi. È sufficiente stabilire il basso profilo dell'interesse comune, mettere il segno meno laddove era il segno più (o viceversa) e armarsi al meglio per vincere la guerra delle parole con la quale vengono ridefiniti di volta in volta i concetti di trasformismo e paura o viltà; fino a capovolgerli in maturazione e rispetto istituzionale. Su questo terreno la sinistra, erede della doppia verità leninista, non ha mai avuto rivali. Oggi a maggior ragione, potendosi avvalere dell'alleanza virale con la pandemia.

L'ULTIMA GIRAVOLTA
Sicché non deve stupire se il Meccanismo europeo di stabilità, invece di rappresentare il cigno nero dei giallorossi, si rivelerà l'Oscar alla fulminante carriera dell'avvocato Conte. Fingere che il Mes non sia il Mes, e che accettarne l'ultima riforma concepita nelle stanze dell'euroburocrazia non significhi convalidarne l'operatività futura anche entro i nostri confini, può valere per i grillini come una dilatazione della propria coerenza sino alle estreme conseguenze. Avevano in odio la democrazia rappresentativa e il Parlamento, sono riusciti a occuparne i centri vitali e da lì non intendono sloggiare prima di averli interamente distrutti, quand'anche dovessero giacere loro stessi sotto le macerie. 

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