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Paolo Becchi, "Il mito del deficit": in un libro, le scomode verità sullo sviluppo dell'Italia

Paolo Becchi e Giovanni Zibordi
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È uscito in italiano il libro di economia divulgativa più discusso dell'anno probabilmente nel mondo, «Il Mito del Deficit» (pubblico) di Stephanie Kelton e i professori della Bocconi si sono affrettati a bocciarlo sui giornaloni nostrani perché Kelton spiega che si possono fare ampi deficit pubblici mentre loro ripetono che se stampi moneta crei inflazione per cui con ampi deficit pubblici scoppierà l'inflazione. Dove si verifica questo «legame tra moneta e prezzi»? Come si sa, al momento ovunque nei paesi avanzati l'inflazione è zero, i tassi vicini o anche sottozero e i deficit sono i maggiori dal 1944! Il mondo però è grande, e in effetti in Sudan il governo ha stampato dinari pari al 50% dei soldi in banca e cash, li ha distribuiti, la gente li ha spesi e l'inflazione è al il 200%. E anche in Zimbabwe, Venezuela e Argentina è successo la stessa cosa.

Ma per qualche motivo non funziona nel 98% dell'economia mondiale (Asia, Europa, Stati Uniti...) dove non succede da metà anni '80. In realtà, anche nei famigerati anni '70 dell'inflazione in Italia, la crescita del reddito reale procapite era ottima, quasi uguale a quella degli anni Sessanta e pari a quella degli anni Ottanta. Anzi, è stato il periodo di inflazione sempre più bassa degli ultimi venti anni che ha coinciso con una depressione e declino. È dal 1995, quindi da 25 anni, che lo Stato sottrae denaro, moneta, diciamo potere d'acquisto, perché ogni anno tassa di più di quello che spende («avanzo primario»). E siamo stati gli unici al mondo a ridurre in questo modo la quantità di denaro che circola nell'economia a forza di tasse. Di conseguenza, lo Stato italiano, caso unico al mondo, da una generazione spende sempre di meno di quello che tassa. 

 

Questo fatto basilare non figura mai negli articoli sul deficit pubblico, ma è la chiave per capire perché in Italia le cose vadano male da più di venti anni. Se le famiglie e le imprese ogni anno pagano di tasse più di quello che lo Stato immette nell'economia spendendo, queste poi spendono e investono meno e il Pil non cresce. Inoltre il mercato immobiliare resta depresso, di conseguenza anche le banche tagliano il credito e l'economia declina. Nel resto del mondo invece capiscono questo concetto che Stephanie Kelton spiega e cioè che lo Stato deve aumentare ogni anno in misura adeguata il denaro che circola nell'economia e fare il contrario di famiglie e imprese per le quali invece è bene che siano in avanzo. Ma perché famiglie e imprese siano in avanzo, lo Stato deve essere in deficit. Il deficit pubblico è la condizione normale, non un errore. 

 

Ecco in cosa consiste l'insegnamento di questo ultimo libro. Perché famiglie e imprese di un paese siano in grado di spendere e investire occorre che lo Stato immetta una certa quantità di denaro nell'economia e cioè faccia deficit adeguati. Questo non era vero nel Settecento quando si usavano monete metalliche, ma l'economia moderna, non quella del Sudan o dello Zimbabwe, si fonda sul credito e le banche. Il debito complessivo è nei paesi industriali pari a tre volte il Pil e se il denaro che circola non aumenta non si riescono a pagare rate e interessi. Questi concetti del libro di Kelton hanno implicazioni pratiche vitali per il popolo italiano. Ad esempio con la pandemia si è constatato che in Italia, da quando l'Italia tiene le tasse più alte della spesa pubblica, anche la spesa sanitaria è diminuita rispetto agli altri paesi e molto di più quanto si sia ridotto il reddito. Noi spendiamo 1,700 euro per abitante, in Francia circa 2,800, la Germania il doppio di noi. Poi non lamentiamoci se mancano i posti in terapia intensiva. 

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