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Immigrazione, decreti Salvini aboliti: addio confini, Italia paese senza frontiere

Francesco Carella
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Con la recente modifica dei Decreti sicurezza l'Italia si avvia a diventare un grande porto franco del Mediterraneo. Si realizza, in tal modo, l'antico sogno della sinistra di trasformare il nostro Paese in un'entità senza frontiere. È stata a dir poco grottesca la virata di 180 gradi compiuta dal presidente del Consiglio e dai pentastellati, i quali poco più di un anno fa avevano approvato le norme volute dall'ex ministro dell'Interno per contrastare l'immigrazione irregolare e per ribadire l'inviolabilità dei confini di uno Stato sovrano. Intanto, gli sbarchi aumentano. Tra il 1° gennaio e il 23 dicembre 2020 sono arrivati sulle coste della nostra Penisola 33.761 persone contro gli 11.439 del 2019, mentre i centri di accoglienza sono allo stremo. 

 

Cionondimeno, la classe di governo, azzerando di fatto le norme contenute nel Decreto Salvini, dimostra ancora una volta di non avere alcuna contezza circa le ripercussioni sociali di un fenomeno di tale portata. Le ragioni di tutto ciò sono riconducibili alla formazione ideologico-culturale sia del Pd (di matrice comunista) che dei 5Stelle (d'impianto qualunquista). Una formazione che impedisce ad entrambi di riconoscere come paradigma dell'azione politica uno dei fondamentali princìpi liberali secondo cui «il diritto di abitare dove si vuole incontra un limite nella volontà dell'ospitante e nella sua benevolenza». D'altronde, il sociologo Luciano Gallino già nei primi anni '80 avvertiva che l'Italia stava per essere investita da grandi mutamenti nell'organizzazione della vita quotidiana a causa dell'immigrazione di massa e che tali sommovimenti avrebbero richiesto razionali politiche di accoglienza. Se così non fosse stato, Gallino prevedeva che «nel volgere di pochi anni sul tessuto sociale del nostro Paese, peraltro storicamente fragile, ci sarebbero stati effetti devastanti». 

Ed è quel che è accaduto negli anni successivi, laddove la retorica delle porte aperte ha prodotto una pericolosa sottovalutazione dell'intero fenomeno, con la conseguenza di non prevedere alcun piano di limitazione degli arrivi e di abbandonare nelle mani della malavita organizzata, straniera e italiana, gran parte del popolo degli immigrati. Vengono in mente le parole dello storico Walter Laqueur all'indomani di un viaggio nelle più importanti capitali europee: «Le città del vecchio Continente, a partire dall'antica Roma, sono piene di persone che non hanno alcun desiderio d'integrarsi e di accettare norme e costumi del Paese che li ospita, mentre stupisce la latitanza delle classi dirigenti». 

 

In una realtà come l'Italia, dove la dittatura del politicamente corretto impedisce di misurarsi senza preconcetti intorno a problemi di tale complessità, vale la pena di riportare l'ammonimento del filosofo Karl Popper, il quale, dopo avere ricordato che la disponibilità verso altre culture e civiltà sia un imperativo categorico dei sistemi di democrazia liberale, invita i governanti «ad avere consapevolezza che su questo terreno ci si può spingere fino ad un certo punto oltre il quale si rischia di creare le basi per la propria autodistruzione». Parole che andrebbero scolpite nelle stanze di Palazzo Chigi e dintorni. riproduzione riservata.

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