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Antonio Socci, autocelebrazioni e "il bene": ecco perché il Pd è peggio dei comunisti

Antonio Socci
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A volte ritornano e - leggendo ieri, sulla Stampa, l'ennesima intervista al compagno Goffredo Bettini (stratega di Zingaretti e leader ombra del Pd) - in effetti appariva evidente: è tornato il Pci. Sotto mentite spoglie, ma è tornato. Nell'aria c'è molto più che la sola operazione nostalgia partita da qualche settimana (con libri, articoli e iniziative varie) in vista del 100° anniversario della fondazione (21 gennaio 1921). Non mi riferisco neanche all'ideologia, di cui semmai è custode fedele Marco Rizzo, segretario di un altro "Partito Comunista" ridotto ai minimi termini, ma coerente col marxismo-leninismo. No, il Pci è tornato nella sua essenza, che non è l'ideologia e neanche "il popolo" (quello lo hanno perduto negli ultimi 30 anni promuovendo - per accreditarsi con l'Ue - tutte le politiche più antisociali dell'epoca dell'euro). L'essenza vera del Pci e del comunismo, a qualunque latitudine, è sempre stata la Nomenklatura (per citare il celebre libro di Michael Voslensky). Il Pci, tramutandosi in Pd, ha perso il popolo e l'ideologia, ma è sopravvissuta la Nomenklatura e quella resta sempre al potere malgrado il popolo e malgrado l'ideologia.

 

 

LA NOMENKLATURA
 La Nomenklatura - nella storia del comunismo mondiale - è una casta che professa la religione del potere e si autoassegna la missione di decidere cosa è bene per il popolo. Nel caso italiano bisognerebbe rileggere le "Note sul Machiavelli" di Gramsci... Dunque si diceva dell'intervista di ieri di Bettini. È impressionante come il partito che egli rappresenta sia al minimo storico (elezioni 2018), ma al massimo del potere. Dà quasi l'impressione di avere i "pieni poteri" (quantomeno ambisce ad averli). In questi giorni, per esempio, dal Pd invadono pure le prerogative del Presidente Mattarella sostenendo che se c'è la crisi di governo si va alle elezioni (il vicesegretario dem Andrea Orlando: "Se cade questo governo la strada è quella delle urne"). Lo ripetono per far paura a Renzi e infatti ieri anche Bettini lo ha detto. Egli spinge pure Conte a fare un suo partito per allearsi col Pd alle elezioni (titolo della Stampa alla sua intervista: «Se cade il governo non si ricuce più. Pd-5S al voto con un partito di Conte»). Anche questo "inventarsi" partitelli di "compagni di strada" è nello stile tipicamente comunista (poi se li annettono come hanno fatto con la sinistra dc).

Un altro tratto comunista delle interviste di Bettini è l'autoapprovazione ("il governo ha lavorato bene", "abbiamo salvato l'Italia") che suona grottesca nel momento in cui siamo ai primi posti fra i paesi europei più devastati dalla pandemia (per numero di morti e danni economici). La propaganda cancella la realtà nella mentalità dei compagni: i capi dei regimi dell'Est europeo vantavano gli strepitosi successi dei loro regimi mentre nella realtà dominavano devastazione e miseria. Inoltre i comunisti dimenticano sempre che il voto ai governi devono darlo gli elettori. Loro - secondo il noto epigramma di Brecht - tendono invece a rovesciare questa normalità democratica, comportandosi come nomenklature che danno la pagella agli elettori. E pretendono di essere i soli abilitati a governare.

VELTRONI E IL CORSERA
 Bettini, per esempio, sentenzia che il centrodestra italiano è "illiberale" (lo dice lui che è stato dirigente nel Partito comunista al tempo di Breznev e non è mai diventato anticomunista). Alla sudditanza a Mosca, il nuovo Pci chiamato Pd, ha sostituito la sudditanza a Berlino (si vada a leggere l'episodio di Padoan con Schäuble raccontato nel libro di Yanis Varoufakis).Ma conservano un debole per il rosso antico, specialmente oggi che c'è un comunismo vincente e ruggente a cui guardare, quello cinese, il quale coltiva l'ambizione di una egemonia mondiale (del resto pure la Germania guarda alla Cina). Hanno la sensazione di una rivincita sulla storia. È specialmente Massimo D'Alema ad elogiare la Cina (anche nel suo ultimo libro).

In una recente intervista al "Corriere della sera" - intitolata «Ora a sinistra serve un partito nuovo. E con un po' del Pci» - l'intervistatore Antonio Polito ricorda che D'Alema «è anche consulente dei think tank organizzati intorno alla 'Silk Road Initiative' del governo cinese, e molto assiduo a Pechino». Polito (che viene dall'Unità) c'informa che il prossimo numero della rivista di D'Alema Italianieuropei si occuperà anche del Pci a cent' anni dalla nascita, «non per caso - ci fa sapere Polito - D'Alema tiene ancora nel suo ufficio, seppur pudicamente poggiato per terra, un ritratto del "piccolo padre", Josif Stalin». Chissà che sarebbe successo se Salvini, Meloni o Berlusconi avessero avuto nel loro ufficio il ritratto di un sanguinario tiranno del NovecentoMa un tale "dettaglio", sul Corriere, per D'Alema, passa come una simpatica nota di colore. A proposito del quotidiano milanese: pare che Walter Veltroni stia per diventare direttore editoriale del Corriere. Lui, di certo, non tiene in ufficio il ritratto di Stalin. In ogni caso Veltroni e D'Alema erano i due giovani campioni partoriti dal Pci di Berlinguer. E siamo ancora lì: al Pci.

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