Tempi cupi

Coronavirus, l'unico risultato del governo? Guerra tra italiani: sarà un tutti contro tutti

Paola Tommasi

Usciremo dal Covid, se ne usciremo, l'un contro l'altro armati. Altro che tutti più buoni. Il blocco delle attività economiche ha accentuato le differenze fra Continenti, fra Stati e perfino all'interno della stessa Nazione, ampliando divari e criticità pre-esistenti a livello infrastrutturale, sanitario, educativo, sociale. Non solo la Cina sarà il Paese che prima e meglio uscirà dalla crisi, superando nel 2028, con 5 anni di anticipo rispetto al previsto, il tasso di crescita dell'economia degli Stati Uniti, ma anche in Europa la ripresa andrà a velocità diverse e in Italia sono già aumentate le disparità Nord-Sud. Reazioni così disomogenee derivano dalle misure prese dai governi per contrastare la pandemia a livello sanitario.

E il nuovo mondo si divide tra chi ha adottato regole più rigorose e senza deroghe, come la Cina appunto, e chi, come l'Italia, che pur nel corso della prima ondata si ergeva a modello, ha dato e continua a dare una risposta confusa all'emergenza epidemiologica, con misure a fisarmonica per cui quando la curva dei contagi sale si chiude (tutto o quasi) e quando la curva scende si riapre. Non perché i problemi, dai trasporti alla scuola al sistema sanitario siano risolti, ma in balia dell'andamento del contagio. Ultimo esempio in ordine di tempo: la scoperta della cosiddetta "variante inglese" del virus. Per evitare che arrivasse in Italia, si sono tempestivamente chiusi i voli dal Regno Unito, ma solo per un giorno. E così quello dopo abbiamo avuto la notizia dei 6 casi arrivati in Campania da Oltremanica. Né si può sostenere che in Cina si possono adottare misure rigorose perché è una dittatura, visto che da marzo il governo italiano si è preso tutti i poteri che ha voluto per l'emergenza, ma evidentemente non li ha usati bene.

IL RIMBALZO
Stesso flop che adesso rischiamo di registrare, oltre che con la vaccinazione, anche con l'utilizzo delle risorse europee del Recovery Fund. Il dossier annuale "Check up Mezzogiorno", pubblicato da Confindustria e SRM, centro studi di Intesa San Paolo, ha dimostrato che il Covid ha accentuato il divario Nord-Sud. Nonostante una caduta del Pil nel 2020 molto simile nelle due zone del Paese (-9% al Sud e -9,8% al Centro-Nord), la ripresa, o rimbalzo come ama chiamarlo il ministro Roberto Gualtieri, nel 2021 sarà di portata molto differente: +1,2% al Sud contro il +4,5% del Centro-Nord. Proprio su questo scarto dovrebbe intervenire una volta per tutte il Recovery Fund. Lo spirito con cui è stato pensato dall'Europa è quello, previsto dall'articolo 3 del Trattato dell'Unione, di creare una maggiore coesione economica, sociale e territoriale tra gli Stati membri e all'interno dei singoli Paesi.

PIEDE SBAGLIATO
Ma ciò dipende dall'uso che ciascun governo ne farà. L'Italia sembra essere partita con il piede sbagliato anche in questo caso. Non solo per le misure di corto respiro immaginate dal Premier Conte rispetto agli investimenti di lungo periodo richiesti dall'Ue, ma anche nella ripartizione dei fondi fra le Regioni, tra l'altro motivo di scontro istituzionale con i governatori del Mezzogiorno, a partire dal piddino Vincenzo De Luca. A dispetto del criterio suggerito dalle linee guida della Commissione, che includono il tasso di disoccupazione, il livello di scolarizzazione, il reddito e la spesa pro capite, la disponibilità di infrastrutture e servizi nelle aree destinatarie degli interventi, il governo italiano intende adottare solo il criterio demografico, allocando le risorse in base al numero di abitanti e non alle effettive necessità delle diverse zone del Paese.

Questo nonostante i tanto sbandierati 209 miliardi siano stati ottenuti dall'Italia non per la bravura del Presidente Conte, come si vuol far credere, ma proprio perché l'Europa nella ripartizione ha tenuto conto della carente situazione socio-economica del Sud, cui urge porre rimedio se si vuole davvero ripartire. Da qualsiasi punto la si analizzi, dunque, numero di contagi, tasso di mortalità, vaccinazione e programmazione della ripartenza, la gestione della pandemia da parte di Giuseppe Conte risulta purtroppo carente. E questa non è solo una questione politica, quanto soprattutto economica. Le crisi storicamente sono occasioni per crescere e migliorare, nel caso del Covid e della risposta europea, per giunta, con una disponibilità di risorse mai vista prima. Chi saprà coglierla diventerà davvero un Paese dinamico, moderno e all'avanguardia; chi la spreca precipiterà ancora più indietro di quanto già non fosse. Non c'è uno studio da cui non emerga che l'Italia gioca in questa seconda categoria. Nonostante i sacrifici di tutti, vanificati dall'inadeguatezza di chi governa.