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Pietro Senaldi, l'atto d'accusa contro Domenico Arcuri: "Fa male alla salute e all'economia"

Pietro Senaldi
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 Perfino Attila a un certo punto prese una pausa e smise di seminare devastazione. Per Domenico Arcuri, commissario straordinario alla pandemia causa miopia di Giuseppe Conte, quel momento non è ancora arrivato. Il flagello del premier continua a combinare disastri, maramaldeggiando su un Paese in ginocchio. Dove lo metti, sbaglia; ma lui, con la sua cantilena da prete spretato procede imperterrito, impermeabile a ogni sventura che produce. Come ogni persona inadeguata, non si rende conto del proprio livello d'incompetenza. Ormai è evidente a tutti che il governo non ha la minima idea di come sconfiggere il virus. Le continue chiusure servono a contenere i contagi al prezzo salatissimo, e che non abbiamo ancora iniziato a pagare davvero, di stroncare l'economia.

Nemmeno riusciamo a curare i malati, giacché il Comitato Tecnico Scientifico nominato dall'esecutivo si ostina a ignorare la cura del professor Remuzzi, che suggerisce antinfiammatori o aspirina ai primi sintomi, in anticipo anche sull'esito del tampone. Ecco allora che l'unica salvezza può arrivare dal vaccino, la pozione che restituisce ai cittadini la libertà e alle imprese il diritto di lavorare. Il siero salva il corpo e il portafoglio, i cui stati di salute spesso sono direttamente proporzionali. Senza di lui siamo morti, qualche sfortunato biologicamente, quasi tutti finanziariamente. Quella per l'immunità di gregge è la madre di tutte le battaglie. Il nutrito esercito di quanti accusano d'incompetenza il governo e auspica l'arrivo di Draghi dovrebbe battersi per affidare al grande economista non la poltrona di Conte, bensì il trono di Arcuri, plenipotenziario del vaccino. Se non ce lo togliamo di torno al più presto, rischiamo di girare in mascherina, avere i bar chiusi alle 18, i ristoranti aperti solo a pranzo e i negozi attivi a zone e giorni alterni fino a novembre, quando gli altri Paesi saranno già saliti da mesi sul treno della ripresa. E per noi, che già ora siamo ultimi, riprenderli sarà impossibile. 

Nessun individuo sano di mente avrebbe affidato la partita della vita per l'Italia al manager di Melito Porto Salvo, un uomo che nella lotta alla pandemia ne aveva già combinate di tutti i colori. Arcuri è l'eroe dei banchi a rotelle, inutili, costosi e arrivati nelle scuole quando esse avevano già chiuso causa seconda ondata. In precedenza si era occupato delle mascherine, combinando un macello che ha originato anche inchieste giudiziarie. Prima ne ha comprate milioni giudicate non idonee dai medici, poi ne ha acquistate ancora di più a prezzi variabili, a seconda dell'acquirente, senza che il costo rispondesse a una logica, talvolta avvalendosi di dubbi intermediari. Ma c'è lui anche dietro la gag dei ventilatori per le terapie intensive, presi senza istruzioni per l'uso e rimasti inattivi. Con questo curriculum, c'è voluta una buona dose di sadismo, se non di incoscienza, da parte del premier per delegare all'illustre calabrese la gestione della profilassi nazionale.

Trump, accusato di negazionismo, ha messo la pratica nelle mani di un generale a quattro stelle, tanto per capire quanto è problematica la logistica, mentre il buon Domenico è solo un più modesto ex cadetto della Nunziatella. Egli ha già dato prova di sé anche nel settore profilassi, malgrado la vaccinazione sia partita solo tre giorni fa e per di più in via dimostrativa. Incapaci di una politica nazionale, ci siamo affidati all'Ue per procurarci il siero, solo che Bruxelles ce ne ha dato meno che a tutti gli altri. E non siamo neppure riusciti a usarle tutte, visto che è stato somministrato solo l'85% delle diecimila dosi scarse ricevute in dotazione. Così, mentre la Germania già prenota trenta milioni di dosi fuori dal patto Ue, il tenero Arcuri, anziché imitarla, critica, dicendo che «non si interrompe così una bella pagina europea».

 

 

 

Ma al commissario forse non dispiace avere dosi minime di vaccino, giacché ha sbagliato il bando per l'assunzione a termine di 16mila tra medici e infermieri che facciano l'iniezione salvifica. La gara è partita, tanto per cambiare, in ritardo e, come denunciato dal direttore Franco Bechis sul Tempo, non specificava adeguatamente le condizioni di pagamento. Altro punto oscuro sono i modi e le scadenze della profilassi nazionale. Teoricamente ci sarebbero tutte le dosi - 90 milioni - per raggiungere l'immunità di gregge entro giugno, ma il governo ha previsto di raggiungere il traguardo a fine settembre, in modo da arrivare ultimi nella ripresa. Motivo? Una carenza organizzativa, alla quale il governo non vuole ovviare delegando alle Regioni e alla sanità privata il lavoro che non riesce a fare. La strategia per sfuggire alla propria inadeguatezza è sempre la medesima: dare informazioni inutili e occultare quelle che aiuterebbero a capire. Conosciamo il viaggio delle novemila fiale e i dettagli della vita dei primi tre fortunati che sono stati vaccinati, ma ignoriamo le modalità di prenotazione e accesso ai 1.500 punti di erogazione previsti dal ministero della Salute.

Nulla sappiamo del piano vaccini né di come ne sarà comunicato lo sviluppo. Langue anche la campagna di comunicazione per convincere le persone a iniettarsi il siero, coerentemente al fatto che, meno gente lo vuole, minori sono le probabilità che la macchina della profilassi si ribalti in parcheggio. Dio li fa, poi li accoppia. Conte e Arcuri sembrano Totò e Peppino ma fanno più danni di Mladic e Karadzic. Se è vero il detto simul stabunt, simul cadent, forza Renzi, sbattili giù. Perché questa accoppiata non ce la possiamo permettere, ci svuoterà le tasche.

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