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Sono passati cento anni e la peste comunista ancora infesta l'Italia

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Iuri Maria Prado
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Un secolo fa la peste comunista contaminava il nostro Paese incarnandosi nel partito che per settant'anni avrebbe cospirato per precludere all'Italia ogni evoluzione liberale e genuinamente democratica. Con l'organizzazione comunista più potente e influente dell'occidente, durante il corso repubblicano l'Italia diventava dunque l'ambasciata plenipotenziaria nel mondo libero della più spaventosa macchina di oppressione mai realizzata nella storia dell'umanità. Intere generazioni erano educate al verbo illiberale, indottrinate alla pratica statalista che imbandierava di rosso l'identica impostazione appesa per i piedi in Piazzale Loreto, mentre intorno ai cimiteri degli inglesi e degli americani morti per restituirci la libertà a cui avevamo rinunciato si moltiplicavano le vie e le piazze intitolate ai nomi degli sterminatori comunisti.

La contraffazione, la censura, le menzogne imposte al Paese nel diffondersi dell'infestazione comunista rendevano ammissibili le celebrazioni antifasciste che levavano il pugno chiuso senza sapere nulla delle devastazioni perpetrate negli inferni governati sotto i simboli di quei paradisi sociali. Ci sarebbe stato meno entusiasmo nei cortei rossi se quei militanti avessero saputo che settecentomila loro coetanei erano fucilati nel corso di un solo anno, e che altri trecentomila morivano durante gli interrogatori nella patria della giustizia comunista. La poetica per i meriti rivoluzionari avrebbe ceduto a qualche perplessità nell'apprendere che nell'Unione Sovietica del decennio appresso arrivava a sessant' anni il trenta per cento della popolazione, mentre altrove la percentuale andava dal settanta all'ottanta. Era - e continua a essere - una contabilità esclusa dal perimetro delle conoscenze concesse alla disponibilità del Paese che si prepara a festeggiare trasognato il centenario di storia del comunismo italiano. Così come ha poco diritto di stampa l'esistenza prigioniera in quei sistemi di un'umanità spiata, intimidita, torturata nella distribuzione equanime di ingiustizia e miseria.

La menzogna ulteriore, cioè quella ricorrente posta a scriminare la diversità comunista italiana, sarebbe assolta se appunto non fosse sopravvissuta durante un secolo sotto il manto di quell'apparato mistificatorio e di censura. Ma l'arretratezza civile del Paese, la sua incapacità di rivolgersi alla soluzione liberale e la sua propensione indefessa a ricercare pace nel reggimento autoritario, sono l'effetto di quell'ormai antica contaminazione: che - stiamo bene attenti - non ha prevalso su nessuna tradizione alternativa, ma ha con più forza ed efficacia accompagnato l'Italia nel suo percorso illiberale e incertamente democratico. Manca solo l'ultimo scempio, e i festeggiamenti venturi potrebbero essere l'occasione: e cioè che il partito comunista italiano, dopotutto, è sempre stato anticomunista, una cosa abbastanza facile da sostenere nel Paese che non sa niente del comunismo proprio perché la cultura comunista l'ha pervaso.

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