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Vaccino, la scienza è anche dubbio: un esempio dal passato e tre scenari sul futuro

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Francesco Bertolini
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La talidomide è un farmaco che fu venduto negli anni Cinquanta e Sessanta come sedativo, anti-nausea e ipnotico; era un farmaco che aveva un rapporto rischi/benefici estremamente favorevole rispetto agli altri medicinali disponibili all'epoca per lo stesso scopo. Venne ritirato dal commercio alla fine del 1961: le donne trattate con talidomide davano alla luce neonati con gravi alterazioni congenite dello sviluppo degli arti, ovvero amelia (assenza degli arti) o vari gradi di focomelia (riduzione delle ossa lunghe degli arti), generalmente più a carico degli arti superiori che quelli inferiori, più spesso bilateralmente, pur con gradi differenti.

Dal 2009, quindi con circa cinquant'anni di ritardo lo Stato italiano riconosce un'indennità mensile alle vittime della talidomide nate tra il 1959 e il 1965. Ricordare questo episodio drammatico, mai ricordato in questi mesi altrettanto drammatici, non significa essere no vax, non significa essere contro la scienza, significa ricordare che la scienza è dubbio, non certezza. E l'atteggiamento "fascista" che oggi preclude qualunque dubbio è inaccettabile, cosi come questo punto di vista sarà inaccettabile per tutti coloro che anelano di essere vaccinati il prima possibile. Questa lacerazione sarà una delle tante pesanti eredità di questa tragedia. Aver dato alle aziende farmaceutiche uno scudo penale non aiuta ad accrescere la fiducia, ma non è solo questo il punto, giustificato dalla fretta. Ci sono due scenari che si prefigurano nei prossimi mesi.

DUE POSSIBILITÀ PIÙ UNA 
Il primo scenario, ottimistico, delinea un contesto in cui il virus se ne va da solo, come sempre successo in tutte le pandemie della storia, senza vaccini; in questo caso il vaccino sarebbe comunque identificato come il fattore determinante per bloccare la sua circolazione. A quel punto spero che il dibattito sull'obbligatorietà venga meno in modo naturale, travolto dalla ripresa di una normalità che non vorrà più sentire parlare di virus per i prossimi cento anni, e nemmeno delle affermazioni vergognose di quei medici che ripetutamente dichiarano che non cureranno chi non si vaccinerà, con buona pace del giuramento di Ippocrate e dei principi etici tanto richiamati in questi mesi. Il secondo scenario, possibile, è che il vaccino non sia così efficace come sembra, e a quel punto la responsabilità sarà di nuovo addossata ai cittadini che si saranno opposti, per mille ragioni, più o meno condivisibili, a farsi vaccinare.

Questo scenario prorogherebbe ulteriormente il film già visto, un film che indica sempre nei cittadini i colpevoli della diffusione del virus. Uno scenario angosciante, ma che consentirebbe di legittimare ulteriormente l'obbligatorietà del vaccino, e la necessità di replicarlo dopo pochi mesi, perché non si dovrebbe mai abbassare la guardia. Esiste poi un terzo scenario, meno legato alle conseguenze di una campagna vaccinale da Istituto Luce, ma legata alle dinamiche della comunicazione della paura. Dopo questo lungo periodo di comunicazione del terrore, i cittadini probabilmente cominceranno a essere vaccinati alla paura, più che al virus, e a essere disposti ad abbassare la guardia, pur di ritornare a vivere. A quel punto, quando la paura non farà più share, forse le notizie positive cominceranno a essere ciò che il pubblico vorrà sentirsi dire, e a quel punto il main stream cambierà; le notizie positive accompagneranno la rinascita, dimenticando le terapie intensive e i morti che magari continueranno a esserci, con la identica ipocrisia che ha accompagnato le notizie negative.

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