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Mattia Santori le sardine, la loro giusta fine: scendono in campo e vanno a zappare la terra

Gianluca Veneziani
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Sono scese in campo, o meglio nei campi. Dopo aver nuotato nel mare della politica, sono tornate a terra e si sono date alla terra. Un anno esatto fa, all'indomani della vittoria di Bonaccini in Emilia Romagna, venivano corteggiate dall'intera sinistra ed esaltate, perfino da Zingaretti, come l'arma segreta del successo rosso. Ora, lasciate le grandi piazze un po' per la pandemia e un po' per la propria insipienza, le Sardine, il movimento guidato dallo zazzeruto e supercazzolaro Mattia Santori, si sono rifugiate in campagna, o meglio negli orti cittadini. A praticare l'arte nobile della coltivazione. Meglio la Zappa e la Vanga della Falce e il Martello, devono aver pensato. Dalla scorsa estate le Sardine hanno preso infatti in gestione una trentina di orti nelle periferie di Bologna, in zona Pilastro: accompagnate da 80 volontari, tra italiani e stranieri, oggi lavorano la terra e coltivano ortaggi, da veri e propri contadini urbani. Le ricadute positive di questo loro impegno, raccontato dal sito dire.it, sono triplici. In prima istanza le Sardine hanno finalmente deciso di imparare un mestiere, riscoprendo la loro vocazione (tradita): e cioè, essere braccia rubate all'agricoltura (e lo diciamo senza ironia). Là, zappando, possono comprendere il senso della fatica, del lavoro diuturno, e la cura necessaria per dare buon frutto. Nei campi non si ottengono risultati dall'oggi al domani, ma ci vogliono tempo e pazienza. Dissodare, seminare, innaffiare sono esercizi di umiltà, che vuol dire appunto vicinanza all'humus, alla terra. Tornare in campagna non è mica una forma di otium, ma l'esatto contrario, la fine dell'ozio. E anche un buon modo per apprendere qualcosa, dopo tante esibizioni di ignoranza: dalla Coltura alla Cultura, si sa, il passo è breve. In secondo luogo, la loro dedizione a frutta e verdura, a mo' di novelli Cincinnato che, lasciato l'agone politico, vanno ad arare i campi, garantisce alcuni benefici anche a noi. Finalmente non dovremo più assistere allo sforzo delle Sardine nel riempire le piazze, gli studi tv e le nostre teste di parole (vuote), alla loro attitudine compulsiva a stilare manifesti, decaloghi di condotta e perfino libri (il profetico Le Sardine non esistono); non saremo più tenuti a sorbirci il loro sterile anti-salvinismo, la loro proposta politica animata dal Nulla, i loro concerti a base di musica e cazzeggio, travestiti da eventi ad alto contenuto civico. Erano party, ma li spacciavano per feste di "partito" Né dovremo subire la celebrazione mediatica pressoché unanime, che le glorificava come nuova forma di partecipazione, riscatto delle giovani generazioni, resurrezione della Politica dal basso (da molto in basso, a dire il vero). Da ultimo, questa svolta bucolica consente loro di compiere la prima azione buona e utile per la società. E cioè, destinare la metà del raccolto degli orti alle mense delle Cucine Popolari di Bologna, che servono 300 pasti al giorno a persone in difficoltà economica. I più volenterosi, fanno sapere Giulia Trappoloni e Andrea Garreffa, tra i fondatori delle Sardine, portano l'intero raccolto alla mensa. Ecco un atto politico, dopo tante chiacchiere: aiutare chi è più fragile. E, se pure questo passare al verde è mosso da velleità ecologiste, almeno le Sardine, a differenza di Greta, le mani se le sporcano davvero. Ma soprattutto, grazie a questo passaggio dall'ittica all'agronomia, le Sardine si pongono in scia alla gloriosa tradizione della sinistra. Dopo la Quercia, l'Ulivo, la Margherita, ecco l'Orto o il Movimento 5 Serre. A breve vedremo Mattia Santori montare su un trattore come un Tonino Di Pietro 2.0. Il pesce andato a male sarà rimpiazzato dalla verdura, al posto delle Sardine spunteranno i Cetrioli. E così, in un anno, si sarà chiuso il cerchio perfetto: dalla campagna elettorale alla campagna.

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