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Matteo Renzi "ha vinto". Renato Farina: "Nel derby dei somari Conte e Zingaretti sembrava Varenne"

Renato Farina
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Ha vinto Matteo Renzi. Nel derby dei somari giallorossi, ha dato un distacco di venti lunghezze a Conte, Zingaretti e Franceschini, quasi fosse Varenne. Non si capisce con quale coraggio, invece di nascondersi per il cappotto, i tenutari di Pd o M5S osino aggirarsi in tivù o ciondolare sui blog, atteggiandosi a dominatori dei miei stivali. Come direbbe Ibrahimovic: little donkeys, poveri asinelli. Uno si immagina che magari all'opposizione sia scappato il giù-il-cappello davanti al fondatore di Italia Viva. Arduo esercizio. I loro capi hanno provato a sforzarsi, ma non ci sono riusciti, e insistono nel metterlo nello stesso vaso di fiori marci da sbattere nella pattumiera. Comprensibile: Renzi troppo a lungo ha salvaguardato l'accolita giallo-rossa della nostra rovina. Ma lui lì dentro era l'alieno. Va riconosciuto, non calpestato come un incidente della scena politica italica. In quel bouquet non erano tutti uguali, e lo si è capito dal finale. C'era un giglio carnivoro, che prima ha radunato petunie e peonie, si è acquattato, infine ha sbranato la compagnia. C'è in tutto questo misconoscimento del toscano un'ombra di umana invidia: ora infatti i leader del centrodestra si trovano tra i piedi l'unico che ha fatto quel che a loro non era riuscito, e perciò non si lasciano sfuggire neppure a manopola del volume a zero, così da leggere il labiale, un bene-bravo-grazie-bis foss' anche in dialetto. Sarebbe sportivo. Niente. Peccato.

Come Fanfani - Bando alle ipocrisie. Quando ci vuole ci vuole. E allora diciamolo: grazie. Renzi con le sue finte e controfinte, dribbling e veroniche, per poi tirare il perfetto colpo di spiedo con cui infilzare quella manica di incapaci, ha fatto un gran piacere agli italiani, a prescindere da qualsiasi coloritura politica. Non è solo un'impressione a spanne, lo dice un sondaggio commissionato al volo da Agorà (Rai 3) a YouTrend. Ricordate la manfrina del Conte popolarissimo eliminato da un brigante di nome Renzi perciò stramaledetto dal popolo? L'esito di questa defenestrazione, cioè l'avvento di Mario Draghi a Palazzo Chigi è gradito dal 69% degli italiani, se ne dispiace solo il 18%. In compenso il giudizio sul governo caduto è positivo appena per il 37% del campione. Draghi - ce la faccia o meno - era nei disegni originari di Renzi, e anche in questo ha vinto il fiorentino. Ed era stato il solo a non credere al minacciato aut aut prospettato da Zingaretti e Di Maio, i quali sostenevano: o Conte o elezioni, tanto per spaventare i senatori incerti e raggranellare responsabili. A quanto pare sta andando così. Nella cesta portata in eredità da Matteo all'Italia, comunque finisca il lavoro di Draghi, ci sono i capi mozzati in tutti i sensi delle varie sinistre rosse o gialle che siano. Magari senza ammirarlo, non è il caso, ma almeno si dovrebbe ammettere che l'ex premier ha portato a casa il bottino che desiderava da tempo tanto quanto noi. Tre zucche a perdere le abbiamo citate, ce n'è un'altra sconosciuta al grande pubblico, ed è quella di Goffredo Bettini, il quale passava per il nuovo Machiavelli comunista, un Gramsci redivivo, più che altro un Rasputin che serviva elisir ideologici di lunga vita alla ciurma al potere. Ribaltato pure lui. Non è che sia un incompreso. Lo abbiamo tutti compreso anche troppo. Ma abbiamo creduto che la sconfitta ai referendum e il conseguente precipitoso ammainabandiera fosse il preludio di una carriera bivaccante tra un posticino e l'altro dei sottoscala. Invece quale fu l'aretino Fanfani, anche lui considerato un bullo malmostoso, merita il nomignolo dedicato da Indro Montanelli ad Amintore: il Rieccolo. Come Matteo tra i contemporanei solo Berlusconi, che resta insuperato, ma vedremo a 84 anni Renzi quante vite avrà avuto.

Invidiosi - Intanto lo spettacolo cui assistiamo non è male. Zingaretti e Travaglio accomunati dai medesimi sentimenti verso l'ex premier toscano, rispetto al quale quello verso il Covid potremmo chiamarlo tenerezza, suonano in coppia il piffero contro M.R., però sono costretti a dividersi, il primo pro e il secondo contro Draghi. Trattasi, lo diciamo senza offendere la memoria di Aldo Moro, di convergenze parallele. Identici nell'arte del maledire, ma diversamente rosicanti. Dappertutto è così tra i vedovi e le vedove di Conte. Pur di non ammettere che il senatore di Scandicci ha messo tutti, e specialmente lei e i suoi cari nel sacco, che cosa fa Lilli Gruber? Si occupa sì di Matteo Renzi, ma lo fa per espellerlo dalla civiltà occidentale, onde punirlo dell'abrogazione di Conte. Non avendo tra le mani Matteo per strozzarlo, si accanisce a freddo contro Maria Elena Boschi, incolpandola di avere per leader uno che è andato a tenere una conferenza di sicuro strapagata in Arabia Saudita, che orrore. Certo Renzi fa di tutto per rendere difficili gli elogi. Forse neppure li vuole, perché apprezza solo quelli che arrivino da chi giudichi migliore di lui, cioè nessuno. Questa favolosa autostima gli garantisce una piacevole solitudine nella vita. Ma in politica non è proprio una virtù. Fa sorgere una specie di idiosincrasia da parte dei colleghi di destra o di sinistra, perché bisogna per lo meno fingersi attratti dalla loro intelligenza se si vuol collaborare per qualcosa di più che mezz' oretta. Impossibile smettere di essere il gallo cedrone se lo si è nel profondo. Per cui prevediamo che ricadrà presto, inciamperà nella sua adorata ombra. Salvo poi assistere alla prossima resurrezione. Rieccolo. Ma noi qui non riusciamo ad essere ipocriti: ha ottenuto quello che voleva, ha mantenuto la promessa. Bravo.

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