zero rivali

Luigi Di Maio, il sospetto di Paolo Becchi: ancora ministro per il "piacere" di Matteo Renzi?

Paolo Becchi

È difficile dire come andrà a finire nei Cinque Stelle col voto di fiducia al nuovo governo, pochi parlamentari pentastellati forse alla fine voteranno contro. La decisione (con un voto sofferto tra gli iscritti, nonostante un quesito formulato in modo da rendere difficile dire di no) di partecipare al governo Draghi e la decisione di Di Battista di farsi (almeno provvisoriamente) da parte, hanno lasciato il segno. C'è molta amarezza e delusione sia tra gli attivisti sia tra quelli che un tempo si chiamavano i "portavoce". Ancora non è stata metabolizzata la fine del Conte II e il passaggio sul carro del nuovo Presidente. Va registrato un primo dato di fatto, su cui forse non si è meditato abbastanza: Conte torna a fare il professore, Di Maio invece rimane al suo posto di ministro. Diciamolo con franchezza, qualcosa non torna. La vita cambia per tutti, ma non per Di Maio, che anzi si libera di un possibile contendente, Conte. Renzi, in fondo, senza volerlo a Di Maio ha fatto un piacere. Insomma, il M5S sta perdendo la faccia e persino un sacco di posti nel governo, ma Di Maio resta intoccabile e incollato al suo posto - l'unico che può essere gialloverde, giallorosso e pure draghiano - e il suo margine di manovra all'interno del M5S persino aumenta. Paradossalmente da quando non è più capo politico, può fare - dietro le quinte - tutto quello che vuole.

 

 

Mentre da parafulmine c'è il povero Crimi, che ormai non sa più che pesci prendere. "O Conte o morte!", per la verità la "morte" di Conte è stata un vantaggio per Di Maio. In un colpo solo si è liberato di Conte e di Di Battista, che nell'ultimo periodo un pensiero sul Conte ter per rientrare in partita dovrebbe averlo fatto. Di più, Di Maio ha messo in difficoltà il progetto di Grillo che puntava proprio su Conte come il nuovo Prodi per un nuovo centrosinistra, si muove con scaltrezza, al centro, alla sinistra, alla destra. Va bene tutto, pur di restare nella stanza dei bottoni, anche Berlusconi. Fallito il progetto di un centro sinistra guidato da Conte, Grillo ha lanciato l'idea del M5S come partito "verde", idea niente male, anche in linea con i principi ambientalisti del Movimento, ma qualcosa è andato storto. Il supermistero non c'è, c'è però al governo il partito dell'odiato "psiconano". Di Maio non poteva stare col Pd, e abbiamo visto come è andata, ora non ha neppure difficoltà a stare con FI: il giovane ha uno stomaco notevole, sarebbe in grado di digerire persino un cinghiale. Tutto questo però ha provocato uno tsunami che ha provocato la provvisoria uscita di scena di Di Battista e il malessere generalizzato nel MoVimento. E sia il Pd, ma ora anche Fi.

 

 

Non c'è più un limite. La reazione degli attivisti è comprensibile. E qui Grillo ha commesso un grosso errore. Invece di ascoltare quel malessere collettivo, una sorta di "intuizione collettiva" che poteva precedere l'intelligenza collettiva" (nel senso di GR Casaleggio), ha posto la questione nei termini "o con me, o contro di me", bloccando in modo autoritario ogni forma di dibattito in corso. La base si ribella questa volta anche contro Grillo. Circolano diversi documenti di attivisti che raccolgono firme, all'indirizzo parolaagliattivisti@gmail. com, per chiedere quel voto su Rousseau che Grillo ha loro negato. Eppure è del tutto evidente che hanno ragione: hanno subordinato la partecipazione al governo Draghi all'esistenza di superministero che non c'è. Avrebbero quindi tutto il diritto ad una nuova consultazione. E invece oggi votano sì, ma per modificare lo Statuto: un direttivo al posto di un capo. A Di Maio, a questo punto, (scongiurato il pericolo Dibba) conviene persino starne fuori. Nessuna rogna e può continuare lentamente a tessere la sua tela. Grillo non ascolta le proteste, troppo "elevato", in realtà sta passando le ore al telefono per convincere a uno ad uno i portavoce dissidenti a votare la fiducia. Ci riesca o meno ( e in che misura) questo segna la sua fine. Ha perso la credibilità che aveva tra gli attivisti e persino tra molti portavoce, i quali - ribadiamolo - oggi non sono in alcun modo vincolati al voto di fiducia, perché Grillo non ha consentito un nuovo voto sulla piattaforma "Rousseau". Grillo ottiene il risultato, ma questa volta paga un prezzo alto, molto alto. Che ci guadagna è Di Maio: alla fine Maio è riuscito a liberarsi di Conte, di Di Battista e persino di Grillo. E voi chiamatelo ancora "bibitaro".