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Pietro Senaldi, il discorso di Mario Draghi? Ha descritto un'Italia tutta da rifare

Pietro Senaldi
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D'accordo che si chiama Parlamento, ma iniziare a dibattere alle 10 del mattino e andare avanti fino a notte inoltrata significa prendere l'istituzione un po' troppo alla lettera. Fortuna che il premier Draghi parla poco, perché quando lo fa non è di poche parole. Sempre meglio comunque, soprattutto quanto a contenuti, della verbosa e variegata maggioranza che lo sostiene. SuperMario è un Garibaldi all'incontrario. Il motto dell'eroe dei due mondi era «qui si fa l'Italia o si muore», e così a schioppettate arrivo l'Unità. L'eroe delle tre banche (Bankitalia, Bce e Goldman Sachs) l'ha declinato secondo i tempi: siccome si muore di Covid e crisi, conviene rifare l'Italia ed essere tutti uniti nello sforzo. Intento apprezzabile, purché si capisca che, ora come allora, non bisogna agire di lingua bensì di moschetto. Chissà se i parlamentari che, dopo essersi a lungo ascoltati, tra ieri e oggi gli avranno votato la fiducia, hanno afferrato il messaggio. Come i garibaldini, sono mille, ma appaiono meno ardimentosi e più spaesati; senz' altro non sono una falange compatta. La giornata nei corridoi di Palazzo Madama è stata tutt' altro che avvincente. Draghi è dei nostri, sghignazzavano a sinistra, perché ha detto che il futuro dell'Italia è nell'Unione Europea e che è importante coniugare progresso e rispetto dell'ambiente; è un compagno, un ricco illuminato, punta a riformare il fisco ma a mantenerne la progressività. No, vuole un'immigrazione regolamentata e investimenti che producano ricchezza anziché sussidi, perciò ha il cuore a destra, da buon altoborghese liberale; ha perfino bastonato Speranza per aver chiuso lo sci senza preavviso. Spettacolo avvilente di una politica che non si è ancora allineata al passo di marcia del nuovo comandante e impiegherà i prossimi tre giorni a spartirsi una cinquantina di poltrone da viceministro.

 

 

 

Orgoglio nazionale

Ma cos' ha detto il supereroe calato nella fossa dei leoni per domarli? Nulla che non avrebbe potuto affermare l'italiano medio, seppure esprimendolo in maniera più pedestre. Ha cercato di ridestare l'orgoglio nazionale spiegando che siamo un Paese meraviglioso e all'estero ci stimano più di quando non lo facciamo noi. Però quando è passato alla radiografia della situazione, la realtà è apparsa tutt' altro che favolosa. La sanità va riformata perché i medici sono lontani dai pazienti, che devono farsi ricoverare per essere curati. La pubblica amministrazione è refrattaria al lavoro e ha approfittato del lockdown per non fare nulla, tant' è che è sommersa dagli arretrati. La giustizia è stata derubricata a branca dell'impiego statale, e come tale, afflitta dai medesimi problemi di inefficienza e paralisi. Chissà se questo vuol dire che Brunetta e Cartabia avranno mano libera? Quanto alla scuola, terza nota pubblica dolente, si è perso solo del gran tempo, tant' è che, senza timore di sfidare sindacati e decine di migliaia di professori, Draghi ribadisce in Aula la sua idea di prolungare l'anno scolastico e accorciare le vacanze. E poi ci sono le tasse, che SuperMario, senza dirlo chiaramente, giudica complicate, irrazionali, inique e dal peso ingente e mal distribuito, comunque da rifare da cima a piedi, e non è compito da politici ma da qualcuno che ci capisce; questo il banchiere lo scandisce a chiare lettere.

 

 

 

Finita la ricreazione

Lo sapevamo tutti, che le cose non andavano. Il romano d'America e d'Europa, che nei 50 minuti di discorso ha un solo svarione, quando per dire «il nostro Paese» gli scappa «il vost..», ha sancito papale che il regno è nudo, perché i precedenti regnanti lo hanno spogliato per decenni. E adesso l'unica cosa da fare è rimboccarsi le maniche e non rompere le scatole. Le giornate di ieri e di oggi sono, nella mente del premier, l'ultima ricreazione della politica, alla quale l'unto da Mattarella concede l'onore delle armi, dichiarando con una pietosa menzogna che il suo arrivo non è un passo indietro dei partiti ma uno in avanti, perché così si avvicinano ai problemi della gente. Come a sottintendere che, fino a ieri, se ne sbattevano. «Vi ringrazio per la stima, ma giudicatemi dal lavoro che farò» ammonisce la platea il nuovo premier, marcando la distanza tra sé e i parolai del Parlamento. Draghi non nomina reddito di cittadinanza né pensioni, ma non perché non intenda porvi mano. Lo si capisce quando parla di sacrifici da fare per i figli, come era usanza delle vecchie generazioni, e di lotta agli sprechi, ognuno dei quali è un torto ai giovani. Interviene invece sull'immigrazione e denuncia come un'anomalia non più accettabile la politica d'accoglienza dell'Italia, specie se paragonata agli altri Paesi Ue, che il banchiere europeista richiama ai loro doveri di solidarietà. Tante belle parole, finora buone per cullare la prima notte degli italiani agli ordini di Draghi, che ha specificato di andare a Palazzo Chigi per durare, perché solo così si incide. Altrimenti anche lui finirà vittima del sonno della ragione che da lustri accomuna politici e cittadini.

 

 

 

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