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Mario Draghi a Bergamo? Ecco perché dimostra di essere (comunque) meglio di Giuseppe Conte

Paola Tommasi
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Cinquantacinque secondi per dire cosa sarà della campagna vaccinale dopo il caos AstraZeneca. Tanto è durato il passaggio fondamentale del discorso di Mario Draghi a Bergamo durante la commemorazione delle vittime del Covid. Basterà per tranquillizzare gli italiani? Forse non è più il tempo delle frasi di tre parole, come il celebre «Whatever it takes» di Londra, e serve più precisione. Anche perché, se il Premier non risolve la questione dei vaccini, precipita pure il Pil e si sfarina l'intero governo. E la corsa alle somministrazioni sembra avergli fatto mettere da parte le questioni economiche: il decreto Sostegni tarda ad arrivare, del Recovery Plan si sono perse le tracce e il Parlamento è di fatto bloccato.

 

 

La maggioranza litiga sulla cancellazione delle cartelle esattoriali e sull'importo dei risarcimenti alle imprese, sancendo lo stallo. Per salvare l'euro, nel 2012 da Presidente della Bce Draghi disse che avrebbe fatto «qualsiasi cosa». Per salvare la campagna vaccini, ieri mattina da Presidente del Consiglio italiano ha garantito la stessa intensità e velocità d'azione "qualunque" fosse stata, nel pomeriggio, la decisione dell'Agenzia europea dei medicinali (Ema). Sono gli aggettivi indefiniti la sua caratteristica fondamentale: non pone limiti alle azioni delle istituzioni che di volta in volta rappresenta. Se lo facesse, sarebbe immediatamente attaccabile e chiunque potrebbe rilanciare. Lasciando indeterminato l'obiettivo finale, invece, smina ogni forma di critica possibile. Antica regola adattata alla realtà dallo studio delle funzioni matematiche.

 

 

È così che Mario Draghi svolge il ruolo che gli riesce meglio: dare fiducia alle persone. Le quali, considerato il curriculum di spessore, ci credono. Mentre di Giuseppe Conte non si fidava più nessuno. Nessun contraccolpo, dunque, dalla sciagurata decisione di sospendere per tre giorni le somministrazioni del siero AstraZeneca, ufficialmente per sospetti effetti collaterali ma forse semplicemente per andare a rimorchio di Angela Merkel, scelta di cui tanto Draghi quanto Macron in Francia si sono subito dopo amaramente pentiti e che la stessa Ema ha poi cassato. Nessun rallentamento ulteriore e quelli che ci sono stati saranno assorbiti rapidamente.

 

 

Ma la fiducia infusa ieri agli italiani, posto che sia sufficiente, passa non solo per i vaccini, quanto anche per lo straordinario esempio della comunità bergamasca che in un anno di Covid ha saputo «trasformare i lutti e le difficoltà in voglia di riscatto». Da lì e con quello spirito dovrà ripartire tutto il Paese. La coincidenza temporale tra la ripresa a pieno ritmo delle vaccinazioni e il ricordo di Bergamo lascia ben sperare. Più velocemente inoculiamo i sieri, prima riaprono le attività produttive, prima le persone tornano a lavorare, meno sostegni servono, più risorse si liberano nel bilancio dello Stato per investimenti di lungo periodo piuttosto che per misure di emergenza, più valore e occupazione si creano. Un circolo virtuoso che il precedente governo non aveva la forza di innescare. Qui si vedranno il guizzo e la potenza di Draghi.

 

 

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