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Coronavirus e vaccino, la "vendetta" di Boris Johnson: il Regno Unito dà lezione al resto del mondo

Fausto Carioti
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«Cosa è l'energia mentale? È qualcosa di psicologico o qualcosa di fisiologico? Era dotato sotto l'aspetto genetico o ormonale di qualche processo superiore di "combustione interna" o era così a causa di un condizionamento psicologico infantile?». Boris Johnson scrisse queste parole nel 2014, quando era sindaco di Londra. Cercava di capire quale fosse stata la molla di Winston Churchill, il suo idolo, alla cui biografia stava lavorando, e dunque si riferiva a stesso, a come avrebbe voluto essere: fatto di quella stessa pasta, in possesso di «un ego titanico, ma temperato dall'umorismo, dall'ironia e dalla profonda umanità». Uno che non si arrende, men che meno nell'«ora più buia». Divenuto primo ministro nel 2019, impantanato nella Brexit, sommerso dai bollettini della disfatta sanitaria, costretto dal Covid a giorni di cure in terapia intensiva, "BoJo" deve essersi aggrappato lì, al suo modello, lo scorso agosto, quando nel Regno Unito e in Europa lo davano per politicamente morto. «Si dimetterà a gennaio», raccontavano i giornali inglesi, subito ripresi da quelli italiani, compiaciuti nel descriverlo come il cugino scemo di Donald Trump. Del resto, cos' altro avrebbe potuto fare il capo del Paese europeo che aveva subito il più alto numero di morti per Covid? Quali alternative c'erano per il premier che aveva decretato il lockdown in ritardo su tutti gli altri e ciò nonostante aveva visto l'economia nazionale crollare del 20,4%, «il più grande calo del Pil trimestrale mai registrato» secondo l'Ufficio di statistica? Beh, se sei Boris Johnson, e da grande vuoi essere Winston Churchill, un'alternativa ce l'hai: restare lì malgrado i sondaggi e tutto il resto, sperando che la tua «energia mentale» e le tue capacità reggano il confronto con quelle del tuo predecessore. E buttarti subito ventre a terra nella produzione di vaccini, come quell'altro si era messo a fabbricare aerei da guerra. Così il 28 agosto, mentre i giornali raccontavano che presto Rishi Sunak, ministro del Tesoro inglese, sarebbe diventato premier, gli uomini di Johnson siglavano il contratto con AstraZeneca per produrre «il vaccino di Oxford». Produrre, non solo acquistare e distribuire: il governo di Londra è stato sin dall'inizio azionista del consorzio, e in questo modo si è garantito un posto al tavolo di quelli che decidevano in quali impianti iniziare la produzione e quali Paesi rifornire prima degli altri. Uno degli aspetti che hanno fatto la differenza rispetto all'Unione europea, assieme a dettagliatissime clausole vincolanti per AstraZeneca, Pfizer e gli altri produttori.

 

 

COME IN GUERRA
Così, già a metà dicembre, negli stessi giorni in cui Domenico Arcuri e Stefano Boeri spiegavano agli italiani l'importanza dei padiglioni a forma di primula, il servizio sanitario inglese aveva vaccinato 140.000 anziani e operatori sanitari in una settimana. Un'operazione di guerra condotta nelle cliniche, nelle chiese, negli uffici comunali, nei centri congressi, nelle curve degli stadi della Premier League. Nella cattedrale di Salisbury, vicino alla teca in cui è custodita la Magna Carta, mentre gli organisti suonano per rilassare le persone in attesa. Quattro mesi dopo, nessuno scherza più sulle capacità di Johnson. Con una popolazione paragonabile a quella dell'Italia, il Regno Unito ha iniettato almeno una dose nel braccio del 47% dei suoi abitanti, contro il 12% dell'Unione europea.

 

 

La scorsa settimana sono state vaccinate 3.509.245 persone: il famoso «mezzo milione di dosi al giorno» che Mario Draghi vorrebbe raggiungere al più presto, ma guarda ancora da lontano (mai superate le 283mila dosi quotidiane, qui). «Il successo del vaccino è merito del capitalismo e dell'avidità, amici miei», ha detto l'altra sera Johnson ai suoi compagni di partito: ha studiato Adam Smith e sa che la fortuna delle nazioni non è figlia dell'assistenzialismo statale, ma della sete di profitto dei privati. Con l'avanzare dell'immunizzazione di massa diminuiscono i morti per Covid: 51 ieri nel Regno Unito, dieci volte meno che da noi. E si ricomincia a pensare al futuro: il 21 giugno è la data in cui dovrebbe celebrarsi la fine del lockdown. Riaprono i locali, torna la vita, sarà una festa nazionale. I sondaggi danno Johnson al 45%, più di quanto avesse ottenuto nella grande vittoria del dicembre 2019. Probabile che quel giorno si ubriachi anche lui: non esattamente astemio, proprio come Churchill.

 

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