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Mario Draghi scavalca il Parlamento: stop al piano per i fondi europei, vuole riscriverlo da solo

 Mario Draghi

Paola Tommasi
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Sui fondi europei per la ripartenza, il Parlamento italiano gira a vuoto mentre a Piazza Montecitorio i commercianti esasperati vengono caricati dalla Polizia. Il primo aprile, giorno delle burle, Camera e Senato hanno approvato un piano di utilizzo degli oltre 200 miliardi del Recovery Fund che finirà dritto nel cestino, visto che il governo di Mario Draghi, in rigoroso silenzio, ne sta scrivendo un altro. 

E sarà quest' ultimo il documento che il Presidente del Consiglio discuterà domani in una riunione appositamente convocata con le Regioni e che sarà inviato entro il 30 aprile alla Commissione europea; che farà fede e che segnerà la tabella di marcia e le destinazioni d'uso delle risorse Ue. Ma che il Parlamento riuscirà a vedere solo di sfuggita, senza poter intervenire nel merito. Autore: il ministro dell'Economia Daniele Franco, l'unico di cui Draghi forse davvero si fida, visto il distacco con cui pare tratti invece tutti gli altri. 

 

LE RICHIESTE
Mentre il documento votato come pesce d'aprile settimana scorsa resterà nei cassetti delle Commissioni parlamentari competenti. Non una grande perdita, visto che il piano era quello presentato a gennaio da Giuseppe Conte, su cui Matteo Renzi aprì la crisi che ha portato al cambio di governo. Nei vari passaggi, poi, quel testo è stato imbottito di finanziamenti di ogni genere su richiesta dei singoli deputati e senatori, più propensi a soddisfare le richieste dei collegi elettorali di provenienza che a garantire un utilizzo efficace delle risorse.

Un vero e proprio assalto alla diligenza, come nella peggiore tradizione delle Leggi di Bilancio. Ma nessun partito, a parte Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni, ha denunciato l'anomalia. Forse anche perché fa comodo rivendicare risultati ottenuti su un provvedimento che non andrà da nessuna parte: si puntano le bandiere politiche tanto il cittadino comune non si prenderà mai la briga di verificare che ciò che viene raccontato trovi poi effettiva attuazione. E dire che quella del Recovery Plan è l'ultima occasione che abbiamo, se sapremo sfruttarla con visione e responsabilità, per ricostruire l'Italia dopo i disastri della pandemia. 

 

PROVVEDIMENTI VECCHI
Non è la prima volta che il Parlamento lavora su provvedimenti vecchi: lo stesso è già accaduto con le norme che sancirono le chiusure natalizie per il Covid. Conte fece un decreto legge il 18 dicembre per schivare le accuse di andare avanti a colpi di Dpcm, ma quando Camera e Senato lo approvarono in via definitiva il 27 gennaio, quel decreto non era più valido, perché di efficacia limitata al periodo tra il 21 dicembre e il 6 gennaio. Né qualcosa è cambiato da allora ad oggi con l'arrivo di Enrico Letta a capo del Partito democratico. A conferma del fatto che il nuovo segretario non controlla i suoi gruppi parlamentari, nonostante l'apparente rivoluzione femminile, né ha proposte concrete da suggerire al governo che sostiene. 

E in effetti, ius soli e voto ai sedicenni, a lui cari, non sono temi da Recovery Plan. Ma è da quest' ultimo che dipende il nostro futuro, almeno dal punto di vista economico. Ora Draghi si è impegnato a comunicare al Parlamento il testo definitivo del nuovo progetto di utilizzo delle risorse europee prima di inviarlo alla Commissione Ue. Ma le Assemblee di Camera e Senato voteranno di fatto una "mera ratifica" perché i tempi saranno strettissimi. Ancora una volta un coinvolgimento soltanto finto dei rappresentanti del popolo.

 

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