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Risparmi, gli italiani se ne fregano di Palazzo ed elezioni? Rischiano di restare in mutande: occhio...

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Alberto Luppichini
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Gli italiani sono un popolo di sgobboni. Fin dall'inizio hanno messo al primo posto il lavoro, la carriera, l'ambizione. Non per una mania sterile di autocompiacimento smisurato né per velleità di arrivismo becero e cinico. Il punto è proprio questo: gli italiani sgobbano da mane a sera per una esigenza recondita e viscerale di adesione a una missione, in uno spirito da crocerossini dediti e generosi. Non si tratta solo dell'abnegazione dei medici e degli infermieri in tempi di pandemia; e non soltanto degli sforzi profusi con generosità e calore umano da farmacisti competenti e indispensabili per sopperire alle deficienze di un sistema che non ha funzionato. Stiamo parlando, con tutta evidenza, di ogni tipo di occupazione, cui gli italiani si dedicano con profitto.

 

Dal pizzaiolo al panettiere, dall'elettricista al calzolaio, la determinazione e l'amore per la professione hanno armato gli italiani di una inossidabile resilienza, indispensabile per affrontare le intemperie della vita. Non solo. I nostri connazionali sono talmente dei fuoriclasse che hanno esportato in tutto il mondo professioni sconosciute ai tedeschi, ai francesi, agli inglesi, mai celebrati per la loro creatività, l'inventiva e la fantasia di cui abbondano invece gli abitanti del Belpaese. I quali hanno avuto il merito di riprodurre le eccellenze artistiche e artigianali del proprio pezzo d'Italia nelle terre aride e ostiche dei paesi esteri. Si sa, gli italiani per natura sono venditori abili e spregiudicati, veri assi nel vendere a caro prezzo la propria parlantina ammaliante e convincente. Così, con volontà ferrea e cervello fino, si sono dimostrati abili fabbri, sarti, orologiai, falegnami, ceramisti, per non dimenticare la nicchia degli intagliatori di marmo di Carrara, in Toscana. Tutti mestieri che, dalla fine della seconda guerra mondiale, i nostri connazionali hanno praticato prima in Italia, e poi insegnato con cura e abilità ineguagliabili ai cittadini di tutta Europa. Per non parlare del settore dei cavalli. 

Varenne, cavallo trottatore italiano, nato in una scuderia vicino a Ferrara, ha vinto e impressionato in tutto il mondo, portando a casa non solo soldi a palate, ma soprattutto un'ammirazione morbosa, quasi un'estasi mistica, che ha trascinato all'ippodromo migliaia di uomini in preda a emozioni forti e trascinanti. Se Varenne era un fenomeno, cosa dire di Tesio, "il mago di Dormelletto"? Federico Tesio era un altro fuoriclasse cristallino, non del trotto, ma dell'allevamento di cavalli purosangue. Il "Leonardo Da Vinci dell'ippica" aveva applicato la teoria sulla genetica di Mendel alla selezione dei cavalli, progettando un allevamento modello in provincia di Novara. Alla sua scuderia appartennero cavalli celebri come Nearco, Bellini e il famosissimo Ribot. Tesio, come tutti gli italiani, ha reso il suo lavoro un'opera d'arte, un prodotto unico di creatività e inventiva, da tramandare alle generazioni future. È proprio questo, per gli italiani, il lavoro: una missione unica e irripetibile da conservare e riprodurre, per mettere il proprio talento a disposizione del Paese.

 

Ma il talento, da solo, non basta. Così i nostri connazionali , fin da subito, hanno abbinato al genio assoluto e sregolato una attenta dose di oculatezza. Tanto che oggi, oltre a possedere in maggior parte una casa di proprietà, ogni mese mettono in cascina un gruzzoletto ragguardevole, così da essere considerati come i risparmiatori più avveduti d'Europa. Il conto della serva, insomma, è nel Dna degli italiani, esercizio abituale delle nostre famiglie, alle prese con un bilancio da far quadrare nonostante le difficoltà. Il risultato è apprezzabile: anche in tempo di pandemia, l'84% delle famiglie ha accantonato ogni mese una certa quantità di denaro, creando un cuscinetto di riserva rassicurante. Tuttavia, c'è un punto dolente: immersi nelle incombenze quotidiane e dediti al proprio orticello, gli italiani se ne fregano di quello che succede nel Palazzo. E il Palazzo, a differenza loro, non è capace di far quadrare i conti del bilancio dello Stato, sempre più in dissesto e destinato, di questo passo, al fallimento. 

Così, l'unica soluzione per risanare le casse pubbliche è proprio la sana abitudine delle famiglie italiane: il conto della serva, con un semplice raffronto tra entrate e uscite. I Governi cambiano, ma le casse dello Stato piangono sempre più miseria. L'unica via d'uscita, per il Paese, è che gli italiani tornino ad interessarsi delle beghe del Palazzo. Almeno alle elezioni, si rechino in massa alle urne e scelgano con criterio a chi affidare lo scettro di Palazzo Chigi. Il Paese è già in mutande. Il rischio è che ci finiscano anche gli italiani.

 

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