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Vaccino, la campagna in Italia a rischio: ecco le vere cifre, le 4 milioni di dosi in arrivo non bastano

Fausto Carioti
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È in gioco l’estate, con tutto ciò che rappresenta per l’industria italiana del turismo e milioni di imprenditori e lavoratori alla canna del gas. E le cose non si mettono bene. L’ultima brutta notizia l’ha data il settimanale tedesco Der Spiegel: la distruzione di 15 milioni di dosi del farmaco anti-Covid della Johnson & Johnson, dovuta a un «errore di produzione», rischia di rallentare la già lentissima campagna vaccinale dell'Unione europea.

 La casa farmaceutica statunitense ha confermato che fornirà alla Ue 200 milioni di dosi nel 2021, ma è vaga sulla consegna di 55 milioni di essi entro la fine di giugno, per la quale si era impegnata. Circa 7,3 milioni di quelle dosi sono destinati al nostro Paese: valgono doppio, perché il farmaco di J&J non necessita di richiamo, e senza di essi l'immunizzazione di gregge entro metà luglio, promessa dal commissario Thierry Breton a tutti gli europei e confermata agli italiani da Mario Draghi, resta una chimera. La scarsità è tale che i pochi produttori affidabili tirano allegramente sul prezzo, sapendo che l'avranno vinta. Nei nuovi accordi siglati con la Ue per il 2022/23, Pfizer-Biontech si fa pagare ogni dose 19,50 euro, contro i 12 euro dei primi contratti: un rincaro del 63%, a fronte di un costo industriale sicuramente inferiore, viste le economie di scala raggiunte nel frattempo.

La liberazione dal Covid inseguita da Breton e Draghi rischia così di non essere raggiunta a causa della tempesta perfetta, a monte e a valle. Scarso approvvigionamento lassù, a Bruxelles, dove pesa l'interminabile lista di errori commessi: aver rifiutato ulteriori dosi quando Pfizer ce le offriva, preferendo opzionare ai francesi di Sanofi ( oui, monsieur Macron) vaccini mai arrivati; le forniture concordate su base trimestrale, col risultato che avremo più dosi nella seconda metà di giugno che nei due mesi e mezzo precedenti; i ritardi dell'Ema, i balletti sulla innocuità del vaccino AstraZeneca, l'ostilità "geopolitica" nei confronti del russo Sputnik... Mentre quaggiù, nei nostri centri vaccinali, la capacità di somministrazione resta inadeguata.

 

 

 

 

Perché non ci sono dubbi che gli arrivi siano scarsi. I 4,2 milioni di vaccini che ieri il generale Francesco Paolo Figliuolo ha promesso di recapitare alle Regioni entro il 22 aprile, che includono il primo carico di Johnson & Johnson, non cambiano il totale previsto per questo mese, pari a 8 milioni, ossia a 267mila vaccini al giorno. Assai lontani dai 500mila che vorrebbe iniettare Draghi. Ma è vero pure che il poco che arriva è sempre più di ciò che viene usato. Nella scorsa settimana le dosi consegnate, pari a quasi 3,3 milioni, sono state 1,3 milioni in più di quelle somministrate. E nell'intero mese di aprile, tenendo contro delle scorte (in frigorifero ci sono 3,2 milioni di dosi) e delle forniture di AstraZeneca giunte in ritardo, l'Italia avrebbe una "potenza di fuoco" pari a 12 milioni di vaccini, sufficienti per iniettarne 400mila al giorno. Eppure, come ha detto ieri Figliuolo, nella settimana tra il 16 e il 22 aprile l'obiettivo è inocularne 315mila al giorno. Segno che i colli di bottiglia sono disseminati lungo tutta la filiera.

 

 

 

 

 

La diffidenza degli italiani nei confronti AstraZeneca (più che comprensibile, visto il caos creato dalle istituzioni attorno al vaccino) spiega solo in parte il mancato utilizzo delle dosi. Alcune Regioni, Veneto in primis, hanno creato una struttura in grado di correre molto più veloce. Non è un caso che Luca Zaia sia quello che alza più forte la voce: si lamenta perché i suoi vaccinatori sono costretti ad andare «col freno a mano tirato» e chiede a Draghi di «rompere il muro rappresentato dal contratto europeo e andare sul libero mercato, perché i vaccini ci sono». Ma altre, come la Calabria, che ha iniettato solo il 74% delle dosi ricevute, arrancano lontano. Parte del disastro che ieri ha causato altri 358 morti per Covid, insomma, è dovuta alla scarsità del personale: problema al quale Roberto Speranza avrebbe dovuto rimediare da mesi. Invece solo adesso, e su spinta del premier, è stato siglato l'accordo con i farmacisti, che una volta a regime dovrebbe garantire la somministrazione di 200mila dosi in più al giorno. E visto il poco che lo stesso ministro ha fatto per le cure anti-Covid a domicilio (le apposite Usca, unità speciali di continuità assistenziale, non si sa cosa facciano), la domanda resta lì, ingombrante come un elefante in un ambulatorio: perché Speranza è stato confermato?

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