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Roberto Speranza: "Ho chiuso per imporre la cultura di sinistra". Una vergogna che sa di stalinismo: il ministro peggiore

Renato Farina
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Il punto di fragilità di questo governo è Roberto Speranza. Non dura. Non al ministero della Salute, perlomeno. La zavorra va gettata a mare, oppure trasferita su qualche zattera imbandierata dove il giovane lucano si occupi senza far danni di materie innocue, tipo organizzazione di campeggi per amici del Vietnam o per figli della lupa bolivariana. Mario Draghi lo aveva salvato qualche giorno fa, caricandoselo sulle spalle e sottraendolo mezzo morto alle bordate di Matteo Salvini: «Ho detto a Salvini che l'ho voluto nel mio governo e che lo stimo molto». Così recitò in conferenza stampa, dove però si era ben guardato dal tenerselo al fianco. È successo l'8 aprile, ma sembra passato un secolo. Adesso il gravame è diventato insopportabile. Non è una questione di immagine, ma di sostanza: il fiore della gioventù comunista lucana, già pupillo di Sergio Mattarella, e oggi soltanto di Pier Luigi Bersani (tra i vivi) e di Giuseppe Stalin (tra i defunti), coincide agli occhi del popolo con la sciagurata gestione della pandemia. Il relitto del governo Conte sarebbe ancora stato restaurabile senonché alla chiara impreparazione i è aggiunta un'aggravante tombale: il fatto di essersi circondato di una ciurma di collaboratori che ha occultato scientemente la verità, taroccando e cancellando la relazione per l'Oms di una squadra di scienziati di Venezia sui gravissimi errori del suo ministero che hanno aggravato il bilancio dei morti. L'indagine della procura di Bergamo è devastante. Sapeva o non sapeva, Speranza? Opto personalmente per il no. Ma questo è un dilemma che attiene alla sua moralità, però chi ha venduto patacche predispostegli dai suoi fidati consiglieri deve salutare tutti, o almeno gentilmente spostarsi. Se no? Non è che va a fondo soltanto un governo, ma naufraga l'Italia nella sfiducia.

 

 

 

Emerge altro che rende incompatibile la presenza di un ministro siffatto in un governo che si regge su una maggioranza dove il centrodestra è decisivo. Ci tocca citare un libro di Roberto Speranza che non c'è ma purtroppo esiste. Parlo del volume Perché guariremo, dai giorni più duri a una nuova idea di salute ( Feltrinelli. 226 pagine) mai uscito in Italia ma in vendita tramite Amazon in Francia e Spagna (ma anche su eBay in Italia al prezzo esorbitante di circa 50 euro perché «libro rarissimo»). Accanto a pagine patetiche, da ragazzo della via Paal, ci sono affermazioni che sono accettabilissime in una democrazia liberale, cioè comunismo puro, rivendicazione di una strategia cinica pur di arrivare al potere eccetera. Ma non quando passa da parola ad azione governativa. Qual è il problema? Egli candidamente dichiara che il suo lavoro di ministro è una galoppata sul cavallo della pandemia per guidare il popolo nella terra dove gli italiani finalmente vivranno nel paradiso invano cercato da Gramsci, Togliatti e forse D’Alema. Non che scriva questa confessione apertis verbis. È una filigrana ideologica che è individuabile perfettamente nel manifesto compiacimento di istituire il lockdown dovunque e comunque e le zone rosse non tanto per ragioni di salute fisica ma come pedagogia per il popolo, così da insegnargli a sottomettersi a ukaz del potere centrale. La pura essenza manipolatrice del governo giallo-rosso sta tutta in questa frase: «Non si poteva lasciar pensare agli italiani che ci fossero regioni dove si viveva meglio». Con uno così si lotta contro. Non si governa insieme. Impossibile.

 

 

 

Il fatto è che ci sono pagine in cui la dissimulazione sparisce per l’entusiasmo. Quando scrive questo libro, nell’estate del 2020, Speranza è convinto che in «pochi mesi» si potrà tornare alla normalità. Ma non la vecchia normalità, ma – grazie a questa alleanza sinistra-M5S - una nuova normalità. In fondo, la pandemia porta con sé l’alba di un altro mondo. Sembra di sentire una sinfonia di Shostakovich al Bolschoi di Mosca con il Grande Timoniere dai baffi inzuppati di pianto. Grazie pandemia, che «ha dissodato per la sinistra un terreno politico molto fertile», un tempo in cui «dopo tanti anni controvento perla sinistra ci sia una nuova possibilità di ricostruire un’egemonia culturale su basi nuove». Cito per la terza volta Stalin, e mi scuso con il vecchio georgiano, ma mi tocca. Speranza, mutando i termini per non inciampare nelle censure del politicamente corretto, ripristina il grande vaglio dell’«origine sociale» come criterio per selezionare la classe dirigente in Urss, e prossimamente su questi schermi. Non il merito, ma la «pura origine proletaria». I proletari non ci sono più, ma ci si prova. Nel governo Conte 2, scrive Speranza, «nessuno è figlio dell’establishment, nelle biografie di molti di noi c’è un connotato popolare vero». Visto che adesso è arrivato Draghi, che diremmo essere abbastanza establishment, magari per coerenza e per pudore, dovrebbe darsi a una certa clandestinità. E lasciare cavalcare la pandemia a chi vuole semplicemente ucciderla invece che ringraziarla. E se non lo fa da solo, che faceva Stalin? La purga.

 

 

 

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