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Lo Ius Soli di Letta è già una storiella: Milano "banlieue" e stranieri eroi

Gianluca Veneziani
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Dove non riuscirà Enrico Letta ce la farà Netflix. A promuovere lo Ius soli come nuova frontiera di civiltà della sinistra ci pensano le piattaforme per le serie tv, ormai più ideologiche e più seguite rispetto ai partiti. I protagonisti della nuova serie Netflix «Zero», in programmazione dal 21 aprile A cominciare dal 21 aprile approda su Netflix la serie Zero, 8 episodi attraversati dal tema del riconoscimento della cittadinanza a giovani stranieri nati in Italia. Il prodotto, ispirato al libro Non ho mai avuto la mia età di Antonio Dikele Distefano e girato da quattro registi, più che narrare una storia vuole veicolare un messaggio, e cioè «raccontare l'Italia dello Ius soli», come ammette a Repubblica una delle registe, Margherita Ferri. Ambientata in un immaginario quartiere multietnico di Milano (che pare piuttosto una banlieue parigina), la serie segue le vicende di alcuni ragazzi di colore di origine straniera che sono al contempo vittime ed eroi. Vittime perché "invisibili", discriminati, intenzionati a fuggire dalla periferia. Eroi perché, spiega la Ferri, «ci rifacciamo alla narrativa di genere sui supereroi» e questi ragazzi hanno il compito di salvare il quartiere.

Senza radici - In particolare il protagonista, di nome Zero perché privo di radici e identità, si muove tra il profilo di antieroe ed eroe: già nel libro di Distefano, Zero è uno che ha costruito la sua vita senza cittadinanza, senza madre, senza soldi, senza futuro, e nondimeno diventa metafora positiva di tutti gli sradicati-emarginati-disadattati, cari alla sinistra. Gli italiani di domani sono gli Zero che partono da zero e hanno zero memoria, tradizione, senso di appartenenza. Ma, nell'ottica dell'annullamento e dell'appiattimento, essere zero è una virtù. La moltitudine dei numero zero. L'idea di fondo che anima il libro e serie è che «essere italiani non è un merito, ma un diritto». Eccola là la retorica dei diritti per cui ciò che ottieni non devi guadagnarlo ma ti spetta dalla nascita come un privilegio. Sei italiano solo perché nasci in Italia e non perché ne condividi i costumi, la civiltà, i valori fondanti. È questo l'aspetto ideologico della battaglia sullo ius soli che, pur riferendosi a un «diritto legato alla terra», è scollata dalla realtà, come ogni ideologia. Ma forse l'aspetto più irrealistico della serie è la sua connotazione sociale ed etnica. Zero sembra raccontare Milano come fosse Johannesburg: già nel libro si parla di una città dominata dalla paura dell'altro dove vige una sorta di apartheid. Sui bus ci sono sguardi indiscreti verso le persone di colore, i bianchi tengono stretti la borsa e il portafogli o aumentano il passo quando incontrano un nero perché «i bianchi nei neri vedono sempre qualcosa di cattivo».

Visione distorta - Una delle interpreti di colore della serie poi, Daniela Scattolin, fa sapere che per un'attrice nera nel nostro Paese «esistono quasi solo ruoli da prostituta». Ma che diavolo di Italia distopica è mai questa? Davvero qualcuno crede che per strada la gente abbia il terrore dei neri e che nel mondo di cinema e tv da noi le nere possano fare solo le meretrici? Citiamo alcune delle più brave che fanno ben altri ruoli: Juliet Esey Joseph, miglior attrice non protagonista ai Black Italian Award per la pellicola Ammore e Malavita, Ira Fronten e Tezetà Abraham interpreti nella fiction È arrivata la felicità, Lorena Cesarini attrice ne Il professor Cenerentolo. Semmai, nel caso di Zero, si potrebbe parlare di razzismo al contrario, visto che i protagonisti sono quasi esclusivamente di origine straniera e nell'immagine promozionale del film appare solo una quota bianca. Meglio una di zero, potrebbe obiettare qualcuno.

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