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Pnrr e giustizia, se i diritti del cittadino diventano teorici: qualcosa di molto discutibile

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Iuri Maria Prado
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Tra le cose discutibili del Piano nazionale di ripresa e resilienza (che in sigla, a evocare una pernacchia, fa "Pnrr"), c'è un'ipotesi di riforma della giustizia rivolta al buon fine di renderla efficiente e sveltirla. Ma si pretende di raggiungere il fine con mezzi invece non buoni, tutti ispirati al criterio inconfessato di togliere diritti anziché tutelarli meglio. L'esempio della mediazione l'abbiamo fatto su queste pagine l'altro giorno: siccome la giustizia è ingolfata, facciamo che non vai più in tribunale ma da un tizio che ti induce a metterti d'accordo con la controparte. Tu puoi anche non volerne sapere nulla, perché ritieni di avere ragione e vuoi che un giudice lo accerti, ma non ci sono santi: prima ti tocca il pizzo del mediatore. L'idea che uno abbia il sacrosanto diritto di non mediare nulla, e di reclamare solo una sentenza che gli dia ragione in fretta, sfugge evidentemente ai propositi riformatori correnti.

 

E lo si vede bene esaminando altre chicche di quel programma, in buona sostanza informato al criterio generale, ma dissimulato, di cui abbiamo appena detto: siccome chi somministra il servizio è in ritardo e fa fatica, risolviamo il problema togliendo diritti agli utenti del servizio. Cioè non lavoriamo su chi lo rende, aumentandone la qualità, ma su chi lo chiede, togliendogli la possibilità di accedervi. Un altro esempio? L'appello, che non bisogna essere giuristi per sapere che cosa sia: c'è un primo giudice che ti ha dato torto e tu hai il diritto, se consideri sbagliata la decisione, di chiedere che un altro, di rango superiore, si occupi della faccenda. Ora, in qualche decennio di devastazione del nostro processo l'appello è diventato una specie di diritto teorico, una cosa che fai e quando va bene incontra gli sbuffi della corte, mentre quando va male manco lo leggono e ti ammollano pure una multa perché hai osato disturbarli.

 

Lo chiamano "filtro", che è un modo soffice per dire che il giudice fa quello che gli pare, tu impugni una sentenza e accendi un cero non nella speranza che ti diano ragione, perché questo significherebbe aver esaminato i tuoi argomenti, ma già solo che ti ammettano a discuterne perché una giungla di requisiti e presupposti è stata coltivata per tenere lontani i cittadini dal giudizio di secondo grado. Ecco, il programma-pernacchia dice ora che quel "filtro", cioè la roba che ha sostanzialmente abolito il diritto del cittadino di protestare contro l'ingiustizia di una decisione, andrebbe ulteriormente rafforzato. E francamente non si sa come, se non dicendo con qualche chiarezza meno ipocrita che dobbiamo prenderci una giustizia tipo una botta e via: e che il magistrato non è lì per porre rimedio agli errori fatti dal collega disattento, ma per stoppare il cittadino che ha la bizzarra pretesa di denunciarli e dolersene. Rendere sostanzialmente impossibile l'esercizio di un diritto è anche peggio che sopprimerlo, e non si migliora la giustizia rendendo più difficile al cittadino di ricorrervi. Ma questo è l'andazzo.

 

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