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Filippo Facci, Davigo e Amara: "Csm da sciogliere", è una guerra interna alle toghe

Filippo Facci
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Sopra una certa altitudine il corpo comincia nutrirsi delle proprie riserve di grasso: anche se resta immobile. È una legge della montagna ma anche del potere, laddove a una certa altitudine, in Italia, è rimasto il solo potere irriformato della Seconda Repubblica: la Magistratura. Che non avendo più vincoli o bilanciamenti è ormai un peso senza contrappeso che sta divorando se stesso: dopo l'infinito caso Palamara (che ha evidenziato corruzioni, discrezionalità assolute, lotte tra toghe, nomine puramente correntizie, un clima da spionaggio, nessuna meritocrazia e soprattutto nessuna dinamica democratica) ora si è aggiunto il surreale caso della loggia massonica «Ungheria», sorto dopo che la Guardia di finanza ha bussato all'interno del Csm nell'ufficio di Marcella Contrafatto che è l'ex segretaria di Piercamillo Davigo al Csm. Si cercavano dei verbali che paradossalmente erano già stati recapitati a due quotidiani, Il Fatto e Repubblica: in essi Piero Amara, ex legale esterno dell'Eni, interrogato a Milano, racconta di questa loggia «Ungheria» in perfetto stile P2 comprendente alti funzionari dello Stato, del Vaticano ma soprattutto della magistratura. Il Fatto ovviamente dapprima non ha scritto una riga (la magistratura è il suo core business) ma poi la dinamica si è schiarita. Quei verbali sono stati sottratti dal pm milanese Paolo Storari e consegnati a Piercamillo Davigo e infine inviati ai giornali da Marcella Contrafatto, che il Fatto Quotidiano, in imbarazzo, ha definito una «funzionaria». In concreto né il Fatto né Repubblica hanno fatto approfondimenti, cioè il loro lavoro. Sinché un altro quotidiano, Domani, ha scoperto l'arcano e ha pubblicato tutto assieme a dei documenti che confermavano alcune consulenze poco trasparenti di Giuseppe Conte da premier.

«Un poco di buono» - Dopodiché gli stessi quotidiani silenti - quelli che in genere pubblicano qualsiasi cazzata riguardi denari riconducibili a Renzi o alla Lega - hanno fatto gli schizzinosi sulle consulenze ottenute da Conte (di cui Domani aveva già spiattellato contratti e fatture) ma perlomeno trovato il «coraggio» di raccontare la storia della fantomatica loggia «Ungheria», ovviamente con prudenza: hanno parlato di «dossieraggio» e descritto questo avvocato Piero Amara come un poco di buono. Potremmo continuare, ma intanto subentra anche la notizia che un gruppo legato al comitato direttivo dell'Associazione nazionale magistrati (si chiama Articolo 101) ha chiesto lo scioglimento dell'intero Csm, e questo «per ridare credibilità alla giustizia». Come se bastasse questo. «La gravità della vicenda e della situazione avrebbe richiesto l'urgente convocazione del Comitato Direttivo Centrale», dicono. Altre «correnti» dell'Associazione (ci sono correnti dappertutto) però non sono d'accordo, ma quelli di Articolo 101 insistono: «Da due anni le istituzioni giudiziarie scontano un gravissimo deficit di credibilità. Causa principale di tale insostenibile condizione è l'emersione del pervasivo condizionamento del correntismo nel sistema dell'autogoverno e, in particolare, nelle determinazioni del Consiglio Superiore della Magistratura». Da qui la richiesta di un rinnovamento generale. «Sono venute meno le condizioni minime del normale funzionamento del Csm nella sua attuale composizione. Riteniamo che lo scioglimento sia la via obbligata». Mentre accadeva questo, le cose erano soltanto peggiorate. Il pm Paolo Storari, quello che aveva inviato i verbali a Davigo, sostiene che tra la fine del 2019 e l'inizio del 2020 aveva inviato una decina di email al procuratore Francesco Greco, ottenendone nulla, e che solo allora si era deciso a inviare i verbali all'allora consigliere Csm Davigo. Storari dice che non avrà problemi a riferire al Csm per spiegare le sue decisioni a suo dire di «autotutela» di fronte all'inerzia del procuratore Greco: non voleva che quei verbali-bomba gli scoppiassero in mano.

«Autotutela» - Perché è appunto sin dal 2019 che l'avvocato Amara aveva parlato dell'esistenza di questa loggia segreta «Ungheria» di cui avrebbero fatto parte anche magistrati: quindi, secondo Storari, c'era quantomeno da iscrivere alcuni nomi nel registro degli indagati per cercare dei riscontri, oppure c'era da procedere per calunnia. Un iter, questo, formalmente corretto secondo il quale un pm che non ottenga risposta dal suo capo (Greco) può rivolgersi al comitato di presidenza del Csm. Ma, anche qui, Storari ebbe modo di rilevare la sostanziale inerzia dei vertici per almeno sei mesi. Sinché, altra notizia recente, circa un anno fa a Milano, è risultato che hanno iscritto nel registro degli indagati perlomeno lo stesso avvocato Piero Amara (proprio colui che aveva denunciato tutto) oltre al suo ex collaboratore Alessandro Ferraro e al suo ex socio Giuseppe Calafiore. E il fascicolo, per competenza, è stato spedito alla procura di Perugia. Ma le persone coinvolte nella loggia erano 74, non 3. Che dice Greco? «Preferisco non parlarne, c'è una vicenda ben precisa e poi ci sono tante narrazioni». Chiaro come nebbia. Tuttavia Greco dice che sta preparando una relazione per riscostruire la gestione del fascicolo «Ungheria» poi trasmesso a Perugia. Piercamillo Davigo intanto ha ammesso di aver «informato chi di dovere» di quei verbali ricevuti nella primavera del 2020. Ma di certo, in definitiva, c'è veramente poco. È certo che sarà l'autorità giudiziaria romana a dover verificare il racconto di Davigo, così come sarà l'autorità giudiziaria perugina a occuparsi di alcune toghe romane. E, pure, che sarà un procedimento del procuratore Raffaele Cantone a indagare sulla loggia «Ungheria», intesa come associazione segreta fuori legge di cui sarebbe gravissimo se avessero fatto parte addirittura dei magistrati. Le quote insabbiamento, in ogni caso, sono date per vincenti.

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