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Pietro Senaldi, il governo Draghi cala nei sondaggi: colpa delle liti tra i partiti e pesano le chiusure

 Pietro Senaldi

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Il governo perde un punto a settimana nel gradimento degli elettori e, un tocco alla volta, tira giù anche Draghi. L'ultima rilevazione, secondo Tecné, dà la fiducia nell'esecutivo al 45% e quella nel presidente del Consiglio al 51. Come termine di paragone ricordiamo che, poco prima di cadere, quando già le campane suonavano a morto, la squadra di Conte godeva di un apprezzamento del 43%, di poco inferiore a quello di SuperMario. È evidente che a questo giro la storia andrà diversamente.

L'ex banchiere è destinato a restare in sella però, se la sua popolarità dovesse scendere con i ritmi con cui è calata nei suoi primi cento giorni, arriverebbe a cifre simili a quelle di Renzi e Grillo, sotto il 15%. In tre mesi infatti il governo di tutti è calato di 13 punti e il suo capo di dieci. Il dato può sembrare sorprendente, poiché la campagna di vaccinazione è partita, i decessi sono in calo e il piano per ottenere i finanziamenti da Bruxelles è stato redatto. Ma l'esecutivo non beneficia di tutto questo ed è facile capirne il motivo. Draghi è venuto per vaccinarci e far ripartire l'economia. Quanto alla profilassi, a livello mediatico per essere apprezzati non conta essere in marcia, bensì arrivare tra i primi e noi abbiamo iniziato a fare sul serio quando altri avevano già fatto tutto. Quanto ai soldi, devono ancora arrivare. Certo, è fondato il sospetto che, se la Ue fa le pulci al suo pupillo banchiere, all'avvocato Giuseppe avrebbe fatto una pernacchia; però i quattrini latitano e gli italiani devono capire se finiranno nel carrozzone pubblico o nelle tasche di chi crea lavoro. Dati i precedenti, lo scetticismo è giustificato.

 

 

 

 

Al momento, la gente si è vista chiudere asili e scuole per settimane, quando Conte le aveva tenute aperte tutto l'autunno e l'inverno, ha assistito alla vaccinazione di una serie di furbetti di Stato, o di Regione che dir si voglia, prima di milioni di settantenni e deve ancora subire il coprifuoco e il divieto di stare al chiuso, che consente al governo di smetterla di ristorare i ristoratori ma non permette a molti di loro di mettere la cena in tavola a casa propria. Come se non bastasse, i proprietari di casa si sono visti prorogare il blocco degli sfratti e agli imprenditori sono stati congelati gli organigrammi, il che ha impedito di organizzarsi per la ripartenza. In più, o in peggio, i partiti bisticciano su tutto come se la pandemia fosse emergenza del secolo scorso.

Il dibattito politico è animano da cosa si può dire sui gay senza finire in carcere, dai candidati che il centrodestra non trova e da quelli che il centrosinistra non screma per il voto nelle città, dai giudici che si fanno la guerra ormai alla luce del sole, senza neppure il pudore che consentiva a Palamara di agire nell'ombra, con il Quirinale immobile e governo e Camere alle prese con una riforma che non s farà mai. Affidate le pratiche serie al premier, il teatrino della politica ha ripreso a ballare, incurante sul filo della pandemia e Draghi lascia fare per tirare avanti, un po' come Mattarella che non riprende le toghe in guerra fratricida. Risultato, perdono i partiti, tranne Fdi, che gode di non far parte del governo, e perde Palazzo Chigi. E così, irrazionalmente, il consenso di Draghi è solo di un'unghia superiore a quello del premier che ha scalzato, Conte; la qual cosa ci dice quanto sia distante il sentimento dell'opinione pubblica rispetto al racconto fatto da quanti si vantano di condizionare la medesima.

 

 

 

SuperMario è l'eroe di salotti, Europa, giornali, moderati e progressisti, però patisce l'effetto Monti, il suo omonimo che ha sfiduciato per sempre gli italiani rispetto ai tecnici prestati alla politica. Non siamo un Paese che ha voglia di riforme, malgrado le invochiamo, e tanto meno gli italiani sono disposti a farsi raccontare la realtà così com' è. L'impressione è che, se davvero Draghi riuscirà a fare il salto sul Colle più alto e a liberarsi del fardello di doverci raddrizzare, incrementerà di molto il 65% di consensi che aveva quando si insediò a Palazzo Chigi. È dieci anni, dalla destituzione di Berlusconi per mano giudiziaria, che gli italiani non sono guidati da un leader che si sono scelti. La rinascita passa attraverso una maturazione spontanea della politica, che poco ha a che vedere con la figura di un direttore d'orchestra calato dall'alto a bacchettare con il sorriso.

 

 

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