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Magistratura, referendum di Lega e radicali restituiscono sovranità alla politica: basta invasioni di campo

Francesco Carella
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Non è una sorpresa che la stragrande maggioranza degli italiani - come rivelato da un sondaggio pubblicato su questo giornale venerdì - non abbia più alcuna fiducia nell'operato della magistratura. L'esito non poteva che essere questo, dopo la trasmigrazione della "neutrale bocca della legge" - la nobile istituzione che lo Stato liberale dell'Ottocento lasciò in eredità alla democrazia di massa del Ventesimo secolo - sul terreno della politica, luogo destinato al conflitto e alla divisività. Si tratta di un fenomeno che si riscontra in tutte le democrazie contemporanee, ma che in Italia si presenta in modo accentuato fino a trasformare la figura del magistrato in un vero "attore politico". La qual cosa non dovrebbe stupire se si ripercorrono gli avvenimenti degli ultimi decenni, là dove la magistratura è giunta in alcuni passaggi delicati della storia nazionale ad influenzare finanche la composizione dei governi, determinando un pericoloso arretramento della sovranità politica a vantaggio di una crescita a dir poco patologica del potere giudiziario.

 

 

 

LA SVOLTA DEGLI ANNI '80

Le radici di una tale "rivoluzione" risalgono ai primi anni '80, quando la vicenda politica italiana incrocia la svolta berlingueriana in forza della quale il Pci abbandona il tradizionale terreno socio-economico, per fare dell'opzione morale la propria bandiera. La storica contrapposizione "destra-sinistra" verrà via via sostituita da un'altra coppia di opposti: "onesti-disonesti". In tal modo, non solo si finisce con l'attribuire alla magistratura funzioni che non le appartengono - il singolo magistrato diviene, come scrive Alessandro Pizzorno, il funzionario addetto al «controllo della virtù» - ma si compromette il fisiologico svolgimento del processo politico in un sistema di democrazia liberale. Raccomanda Max Weber in La politica come professione che a un leader corre l'obbligo di distinguere fra «etica della convinzione» - dove sono i princìpi a guidare le azioni, trascurando gli effetti secondari - ed «etica della responsabilità», intesa come esercizio della scelta sulla base delle conseguenze possibili. Il cambio di paradigma avvenuto in Italia negli ultimi anni ha fatto sì che sempre più la decisione pubblica fosse legata alla dimensione etica a scapito della responsabilità politica. È in un contesto siffatto che nasce e cresce l'abnorme potere assunto dalla giurisdizione nel nostro Paese con le distorsioni che conosciamo.

 

 

 

POPULISMO GIUDIZIARIO

Ammoniva il costituzionalista Giuseppe Maranini che affinché «il suddito si trasformi in cittadino è necessario che sia il potere esecutivo che quello legislativo rispettino le norme, ma è altresì indispensabile che esse vengano applicate da un giudice indipendente». Mentre la classe politica sembra incapace di trovare la forza per riprendersi ciò che le appartiene, ovvero la titolarità del potere sovrano, giunge opportuna, al fine di ripristinare il giusto equilibrio fra i poteri dello Stato, l'iniziativa referendaria sulla giustizia le cui firme verranno raccolte dal Partito Radicale e dalla Lega di Matteo Salvini. È già accaduto altre volte nella storia di questo Paese che lo Stato di diritto, minacciato in varie occasioni, sia stato difeso e salvato dalle coraggiose iniziative di Marco Pannella. Si tratta oggi di continuare lungo il solco di quella tradizione liberale, per sconfiggere l'ingombrante populismo giudiziario e ridare dignità e autonomia alla politica.

 

 

 

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