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Marco Gervasoni, il prof indagato per le critiche a Mattarella? Ma sui giornali si può insultare Israele

Giovanni Sallusti
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Due istantanee dal Paese in cui (soprav)viviamo. C'è un professore universitario, storico di spessore ma non polveroso, uno dei massimi esperti del sistema repubblicano dei partiti, editorialista acuminato come tutti quelli che hanno qualcosa da dire, che è indagato per dei tweet. Perché questa è la storia di Marco Gervasoni, che ha subito una perquisizione dei Ros, con annesso sequestro di computer e dispositivi vari, ed è sotto inchiesta per "vilipendio al presidente della Repubblica a mezzo social". Una fattispecie di reato già dal non purissimo aroma liberale (in Gran Bretagna non c'è niente di analogo rispetto alla Regina, e con tutto il rispetto per il temporaneo inquilino del Quirinale parliamo della Regina), addirittura grottesca in questo caso. Tra i tweet attenzionati ci sarebbero: "Il vero capo del regime sanitocratico è Mattarella" (un giudizio politico, certo duro, del resto la politica non risulta una canasta tra educande), "Mattarella non è il mio presidente" (qui siamo nel foro sacro della coscienza individuale, se non lo sente "suo" è impossibile imporglielo perfino volendo), "Mattarella tifa per il lockdown" (addirittura un mero dato di cronaca, visto la sponda silente che ha dato per un anno ai Dpcm chiusuristi di Conte).

In ogni caso: oggi in Italia un intellettuale eretico rispetto al mainstream è perquisito nella sua abitazione e sotto indagine da parte di una Procura per aver manifestato il propio pensiero. Secondo atto. Nel giorno in cui Gervasoni viene inquisito per le sue idee, uno dei giornaloni seri avvezzi a combattere la "deriva d'odio" incarnata da tutti i Gervasoni che si permettono di twittare senza l'approvazione del Soviet politically correct, ovvero Repubblica, dedica l'intera terza pagina ad esporre le ragioni illuminate di tale Tareq Al Salmi. Il gentiluomo in questione è il portavoce della Jihad islamica palestinese. Una simpatica congrega che definisce la guerra santa come un obbligo che ogni buon musulmano deve attuare contro Israele. Il movimento è inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche (non tweet, bombe, attentati suicidi, missili contro la popolazione civile) dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e perfino da quell'Unione Europea non esattamente nota per essere insensibile alla causa palestinese.

 

 

 

Nel titolone dell'intervista, la moderata dichiarazione programmatica di Al Salmi: «Un diluvio di fuoco sul nemico sionista per liberare Gerusalemme». Heinrich Himmler, lo storico capo delle Ss del Reich, ci si ritroverebbe appieno. E nel colloquio (ripetiamo, pagina 3 di Repubblica, non un foglio clandestino degli ambienti neonazi) il portavoce jihadista ribadisce: «Divoreremo il nemico con un diluvio di fuoco. La nostra resistenza durerà fino a quando il regime sionista non fermerà i crimini a Gerusalemme». Per Tareq e i suoi compagni di giochi bombaroli di Hamas, ricordiamolo, il crimine di Israele consiste anzitutto nel fatto scandaloso di esistere. La Jihad islamica, specificamente, è la longa manus omicida della teocrazia totalitaria e antisemita iraniana, i cui vertici hanno descritto anche recentemente lo Stato ebraico come un "cancro da estirpare".

 

 

 

 

 

E i sicari ci stanno provando anche in questi giorni: mentre il portavoce discetta amabilmente sulle colonne di Repubblica, i membri del gruppo solo ieri hanno annunciato di avere sparato 1050 razzi Al-Quds dalla Striscia di Gaza. Gli obiettivi sono le case, le scuole, i negozi, le vite degli ebrei. Il signor Tareq Al Salmi rappresenta una banda islamista, antisemita, para-nazista, dedita al Terrore indiscriminato contro uomini, donne, bambini israeliani, e rivendica il "diluvio di fuoco" contro il "nemico sionista" sul secondo quotidiano italiano. È la banalità del male contemporanea, il terrorista edulcorato ed elevato ad opinionista, la jihad, ovvero quanto di più barbaramente "oscurantista" esista, riverniciata a oggetto pop sull'organo dei cosiddetti "progressisti" italiani. Ma per fortuna che Gervasoni non può più twittare, e perseverare, lui, a spargere odio nel dibattito.

 

 

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