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Il professor Gervasoni indagato per vilipendio a Mattarella? Rivendico il diritto a sbertucciare qualsiasi politico

Iuri Maria Prado
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Io i presidenti della Repubblica li ho sempre sbertucciati. Un po', lo ammetto, per tigna: non mi piace la retorica pomposa che sempre li circonda e cui spesso essi contribuiscono. Per cui da quando salgono lassù vado alla ricerca delle scompostezze e delle mancanze di cui si rendono responsabili mentre il conformismo servile dei quirinalisti fa cronaca su "l'autorevole monito", sul "saggio intervento", sulla "ferma esortazione" e via sbrodando circa ogni chiacchiera presidenziale. Ma non si tratta solo di tigna. È salutare infatti che il potere, specie quello ammantato di irresponsabilità e con tendenze alla supponenza sacrale, sia tenuto a bada quasi a prescindere perché non si monti la testa: che non significa insultarlo o contestarne la legittimità, ma tenere in chiarezza che sei lassù perché ti ci hanno mandato alcune regole, non la provvidenza divina, e quelle regole vincolano innanzitutto te e il tuo operato.

 

 

Per intendersi: io ti attribuisco tanto potere, e simultaneamente, ti faccio le bucce. Tanto più se ne abusi o se ti astieni dall'esercitarlo come e quando dovresti. Ora io non so se i fatti di questi giorni evidenzino fondate ipotesi di vilipendio a carico dei cittadini coinvolti nelle iniziative di polizia e indagine di cui si è letto. Può darsi. Ma almeno un fumo persecutorio mi pare di vederlo, col rischio che a motivare certe pretese inibitorie e di sanzione non sia il compimento di un illecito ma l'indiscutibilità di un totem, la lesione di una maestà. Io ritengo che pressoché tutti gli ultimi presidenti della Repubblica, e anche quello oggi in carica, si siano resi responsabili di un uso inadeguato della loro funzione, e che la loro opera abbia gravemente attentato all'ordine costituzionale.

 

 

Si tratta di un'opinione, evidentemente: per la quale, devo dire, non sono mai stato inquisito. Solo che l'impressione è ora di un andazzo rischiosetto, perché diffusa è l'idea che il contegno presidenziale sia come le sentenze, quelle che secondo l'altro balordo luogo comune "non si commentano", come fossero verità oracolari. Richiamare il presidente della Repubblica ai propri doveri, e denunciare i casi in cui ad essi egli viene meno, si confida che resti un diritto. Già è finito in desuetudine presso il branco di pecore dei giornalisti e dei parlamentari di tutti i colori: se poi lo affidiamo alle delicatezze inquirenti della magistratura stiamo freschi.

 

 

 

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