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Bavaglio ai professori, siamo al totalitarismo intellettuale: vietato esprimere opinioni forti e contrarie

Marco Gervasoni

Giovanni Sallusti
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C'è un termometro infallibile per misurare qualunque genere di totalitarismo intellettuale. Quando mette nel mirino l'università, vuol dire che il pensiero unico in voga al momento sta tentando l'offensiva finale. Attacca direttamente il luogo/tempio in cui la civiltà occidentale ha ritenuto di organizzare il sapere, a partire dal Medioevo cristiano (dato che nessuno ricorda, perché smentisce il luogocomunismo sull'Età di Mezzo come parentesi buia della storia). Non fa eccezione la postmoderna dittatura politically correct, se non per un eccesso di ipocrisia. Là dove una volta c'era il manganello esplicito, oggi vige la tirannia delle buone maniere, il feticcio della repressione in nome del bon ton.

 

 

Ne hanno fatto le spese, solamente negli ultimi giorni, due docenti universitari estranei al mainstream, seppur lungo direttrici diverse se non opposte. Marco Gervasoni, ordinario di Storia contemporanea all'Università degli Studi del Molise, è un nazional-conservatore di scuola realista. Marco Bassani, ordinario di Storia delle dottrine politiche all'Università degli Studi di Milano, è un federalista-libertario d'impostazione giusnaturalista. Entrambi hanno questo terribile difetto: non corrispondono ai canoni arcobaleno dell'ideologia dominante, quel Politicamente Corretto che ha soppiantato il marxismo come alfabeto della casta giornalistica, editoriale, giudiziaria, accademica. Il primo è indagato per una notitia criminis gravissima: alcuni tweet critici sull'operato dell'attuale capo dello Stato. La fattispecie di reato deriva dallo Statuto Albertino.

 

 

Il secondo è sospeso dall'esercizio della professione (e dall'incasso dello stipendio) addirittura in base a una norma del 1933, pieno regime fascista. La sua colpa risiede nella condivisione sul profilo Facebook di un post pesantemente satirico (un cosiddetto "meme") contro la vicepresidente americana Kamala Harris, all'indomani delle elezioni Oltreoceano. Operazione effettuata da migliaia di utenti social. La foto della signora era accompagnata da un testo certamente non modellato sui canoni del dolce stil novo: «Sarà una ispirazione per le giovani ragazze dimostrando che se vai a letto con l'uomo giusto, potente e ammanicato, allora anche tu puoi essere la vice di un uomo con la demenza. È come la storia di Cenerentola».

 

 

L'allusione è al dato di cronaca (accertato pure dalla Reuters) per cui la giovane procuratrice Harris ebbe i primi incarichi importanti negli anni Novanta grazie a Willie Brown, speaker al Congresso della California e poi sindaco di San Francisco, di cui era stata l'amante. Un'ironia fin programmaticamente di cattivo gusto, una goliardata esplicitamente boccaccesca e quindi di fondo innocua, peraltro perfettamente intagliata nel carattere corsaro e demistificatore dell'uomo (chi scrive ricorda di averlo udito definire la Thatcher «una statalista moderata», per argomentare il proprio liberalismo rigoroso). Che per l'ateneo milanese vale la sospensione da incarico e retribuzione, tenuto anche conto che, come ha scritto il rettore Elio Franzini nella contestazione inviata a Bassani, «quanto accaduto non costituisce un episodio isolato, essendo Sua abitudine esprimere pubblicamente sui social network opinioni forti, dal contenuto talvolta estremo».

Prendiamo atto, quindi, che l'università oggi vuole solo opinioni deboli, contenuti dorotei, pensiero rinsecchito e prefabbricato in serie. Stavamo per dire che è già tanto non abbiano offerto la cattedra di Bassani a Fedez, ma non vorremmo dare involontariamente delle idee al Soviet dei Buoni.

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