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La magistratura il "killer" di Silvio Berlusconi? Senaldi e la domanda che ci pone l'Europa

Pietro Senaldi
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Anche in Europa devono essersi accorti che la giustizia in Italia è una lotteria con i bussolotti segnati. Dopo sette (!) anni la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha accolto il ricorso di Berlusconi contro la sentenza che ne determinò l'estromissione dal Parlamento, l'affidamento ai servizi sociali e quant' altro. I tempi di Bruxelles sono una seconda pena, impediscono una pronta riabilitazione. È noto che Silvio, re dei contribuenti, fu condannato per evasione fiscale di una società nella quale non ricopriva cariche e nonostante l'assoluzione dei responsabili giuridici della stessa. Siamo alla colpa in quanto proprietari indiretti, ben oltre la responsabilità oggettiva.

 

La novità è che la Corte europea non indaga su Berlusconi, ma sulla sua condanna e chiede conto al governo italiano per sapere se la sentenza è stata regolare o c'è puzza di bruciato. Sarà l'esecutivo di Mario Draghi a doversi difendere, con la curiosa particolarità che il partito del Cavaliere fa parte della maggioranza insieme al Pd dei magistrati, proprio come otto anni fa, quando arrivò la condanna. Sembrano passati cent' anni. Il tempo ha reso a Berlusconi più giustizia dei tribunali. Data la lentezza europea, il procedimento è destinato a languire per altri anni, con buona pace dei giudici e degli odiatori di Silvio. Tuttavia i quesiti che pone la Corte pesano come macigni sulla pelle del Paese e nella sua coscienza. Il tribunale che ha condannato Berlusconi era imparziale e indipendente? L'ex premier ha avuto un processo equo? Ha avuto una pena più grave rispetto a quella prevista ai tempi del reato contestato, considerato che è stato estromesso dal Parlamento in virtù di una legge successiva alla data dei fatti? Gli sono stati concessi tempi congrui per difendersi?

Un anno fa una registrazione di Amedeo Franco, magistrato deceduto che è stato membro del collegio di Cassazione che condannò Berlusconi, ha dato la risposta a tutte queste domande. Franco definì il processo «un plotone d'esecuzione». Puntò l'indice ai livelli più alti della Repubblica, sostenendo che «il leader di Forza Italia subì una grave ingiustizia» e che «tutta la vicenda era stata guidata dall'alto». Più in alto perfino della Cassazione. Parlò di «porcheria perché non aveva senso incaricare della decisione (la sentenza fu emanata in agosto; ndr) una sezione feriale», se non quello, sibilava la toga, «di farla finire in mano a chi di peggio non poteva capitare». I giornali, tra i quali il nostro, riportarono i virgolettati, compreso quello in cui Franco accusava il presidente della sezione feriale di «essere sicuramente in malafede».

 

Come previsto, l'esimio ermellino si adombrò e citò in giudizio tutti coloro che scrissero della vicenda. Eppure, non facevamo che condividere i dubbi della difesa di Berlusconi, ai quali pure la Corte dei Diritti dell'Uomo ora presta ascolto. In questa stagione di giudici che processano giudici, dobbiamo aspettarci una denuncia con richiesta di sontuoso risarcimento danni anche ai magistrati di Bruxelles, per avere avuto il dubbio che da noi la giustizia è una tragedia umana che uccide vite senza provare rimorso e anzi indisponendosi se le vittime gridano di dolore? Hanno condannato Silvio ingiustamente? Ce lo chiede l'Europa, frase cult della sinistra, che ieri alle domande di Bruxelles si è insolitamente voltata dall'altra parte, in silenzio.

 

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