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La sinistra tifa Hamas che vessa gli omosessuali: l'ultima contraddizione dei progressisti

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Giovanni Sallusti
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La bandiera arcobaleno e il vessillo verde-islamista di Hamas. Le maratone inclusive su Twitter e i razzi contro i civili. Il Gay Pride e il Corano. In mezzo a questi due poli inconciliabili, sta tutta la confusione delle armate progressiste italiche. Accade infatti che i sostenitori del Ddl Zan si schierino dalla stessa parte della barricata di un gruppo terrorista espressamente ed orgogliosamente omofobo, quel "Movimento Islamico di Resistenza" di cui Hamas è l'acronimo arabo.  Nella Striscia di Gaza governata da costoro l'omosessualità è un reato, spesso punito con la pena di morte. Precisamente, la fucilazione sulla pubblica piazza al culmine di svariate torture esercitate sul "colpevole".

Perfino uno dei capi militari più in vista dell'organizzazione, Mahmoud Ishtiwi, nel 2016 fu giustiziato dopo sevizie inenarrabili a causa della sua "turpitudine morale". Ma anche la Cisgiordania controllata dalla più "moderata" Autorità Nazionale Palestinese ha vietato ogni attività dei movimenti per i diritti Lgbt, in quanto irrimediabilmente «contro i valori palestinesi tradizionali». Eppure, le majorettes del pensiero unico filo-Zan in questi giorni hanno un obiettivo polemico solo: l'unica società aperta, laica, democratica del Medio Oriente. Quel paraguru di Fedez, dalla piattaforma su cui costruisce l'egemonia culturale contemporanea (il suo profilo Instagram), esordisce: «Non voglio accodarmi al coro delle tifoserie». Salvo poi aggiungere: «Vi voglio presentare la persona che da adolescente mi ha aperto gli occhi, Vik».

 

 

Vik è Vittorio Arrigoni, attivista brianzolo nella Striscia di Gaza, ucciso nel 2011 da una banda salafita ultraradicale. Una fine tragica e una storia d'impegno rispettabile, ma certamente tutta sbilanciata da una parte, ben piantata nella "tifoseria" palestinese, visto che accusò reiteratamente Israele di «crimini», di «apartheid», di scarso «valore dato alla vita». Michela Murgia, quest'Erinni del Politicamente Corretto che scorge inequivocabili segnali di omofobia nell'alzata di sopracciglio di qualunque politico di destra, rilancia tweet completamente sdraiati sulla narrazione degli omofobi bombaroli di Hamas: «Il problema è un Paese guidato da una destra ultranazionalista, suprematista e razzista» (lo Stato ebraico in cui imperdonabilmente accade che ogni tanto i partiti conservatori vincano le elezioni, per il suprematismo islamico e antisemita dei terroristi ripassare). Laura Boldrini almeno riesce a nominare Hamas come parte in causa, ma se la ridimentica quando tuona: «La comunità internazionale imponga al governo di Netanyahu di fermarsi!» (cioè di subire passivamente i missili sparati da gentiluomini non esattamente avvezzi a trattare gli omosessuali con canoni boldriniani).

Ma la débâcle simbolica definitiva è quella delle insuperabili Sardine, che sui loro social alternano inviti alle manifestazioni pro-Zan con inviti alle manifestazioni contro «l'apartheid» praticato da Israele, esattamente la parola d'ordine dei fondamentalisti in kefiah che col Ddl dell'onorevole piddino ci accenderebbero un bel falò. È il controsenso che in questi giorni è andato in scena in molti eventi tenuti lungo lo stivale (Aosta, Bologna, Roma) dalla variegata comunità Lgbt, tra cui l'Arcigay: la battaglia per i "diritti di genere" insieme alla battaglia per la resistenza palestinese, la fluidità sessuale e la fissazione sessuofoba, il gender e la jihad. A tutti costoro bisognerebbe ricordare che gli omosessuali palestinesi non aderisco ai loro teoremi, visto che in questi anni sono scappati a migliaia in Israele per salvare la pelle dagli aguzzini islamisti.

 

 

Del resto, Tel Aviv è considerata tra le metropoli più "gay friendly" del mondo e ospita uno dei Pride più attrattivi e partecipati, tanto che il governo israeliano da anni ha incentivato la costruzione di pacchetti turistici di grande successo destinati specificatamente alla clientela Lgbt. Lo sanno bene persone come Payam Feili, giovane poeta iraniano gay che è fuggito dalla teocrazia omofoba degli ayatollah e ha coronato il sogno di rifugiarsi a Tel Aviv, tatuandosi una stella di David sul collo: «Per me, questo è il posto migliore sulla Terra». Non lo sa la sinistra nostrana in fregola da censura, che coerentemente sta con i suoi persecutori.

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