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Enrico Letta, "la democrazia italiana è malata": sparata e minaccia del piddino, ecco la sua "ricetta" per guarirla

 Enrico Letta

Fausto Carioti
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Ma tra una legge sullo ius soli che non si farà mai e un ddl Zan bloccato nelle paludi del Senato, c'è qualcosa su cui Enrico Letta e il centrodestra possono non litigare e magari convergere, da qui alla fine della legislatura? Esclusi, s' intende, tutti i provvedimenti che Mario Draghi benevolmente imporrà loro di votare? Sorpresa: sì. È una storia che si può raccontare così: Letta si è rotto le scatole di vedere i parlamentari eletti nelle liste del Pd cambiare casacca durante la legislatura (in quella attuale, sinora, tra Senato e Camera si contano 31 democratici in meno). Ed è stanco pure di vedere i presidenti del consiglio, iniziando da quelli del suo partito, stare a palazzo Chigi come d'autunno sugli alberi le foglie (lui stesso ne sa qualcosa, per esperienza diretta). Così usa il suo libro, Anima e cacciavite, in libreria da oggi, per lanciare un messaggio ad amici e nemici: la democrazia italiana è «malata», guarirla conviene a tutti.

 

 

 

Ed è ovvio che i primi destinatari sono i leader dei partiti più grandi, quelli che hanno la speranza di governare il Paese al prossimo giro: Lega e Fratelli d'Italia. La prima tessera è facile da mettere: si tratta di cambiare i regolamenti delle Camere. «Il trasformismo parlamentare è il primo vizio di sistema su cui intervenire. Ma come? Riducendo drasticamente gli incentivi a cambiare casacca». "Tradire", infatti, conviene: «In termini di ruolo, vincoli, visibilità e soprattutto benefit e risorse finanziarie, oggi è più conveniente spostarsi nel gruppo misto che rimanere laddove sarebbe naturale stare in virtù del voto degli elettori». Non a caso il gruppo misto del Senato conta 45 senatori e quello di Montecitorio 77 deputati.

 

 

 

È una diagnosi che i suoi avversari sottoscriverebbero. E la terapia, appunto, non è complessa: «Attraverso una riforma dei regolamenti parlamentari si può riportare il gruppo misto alla sua naturale funzione, disincentivando pesantemente i cambi di casacca, oppure in modo più diretto si può abolire il gruppo misto». Operazione fattibile in tempi brevi, senza bisogno di toccare la Costituzione. Più complicata, ma con effetti assai più importanti, sarebbe l'introduzione della «sfiducia costruttiva». Istituto che ha la Germania, e consiste nella impossibilità di far cadere un governo senza avere dato la fiducia ad uno nuovo. A Berlino funziona. «Se ne parla da anni», ricorda Letta, che la indica tra le «medicine» necessarie.

Altro tassello dell'accordo potrebbe essere una legge elettorale maggioritaria come il Mattarellum, che garantisce «un grado sufficiente di governabilità» senza lasciare fuori dal parlamento partiti radicati nella società, e ha estimatori pure nel centrodestra. Insomma, l'idea di «utilizzare proprio questa legislatura - quella delle "crisi di governo più pazze del mondo" - per rivedere le attuali regole e apportare dei correttivi in grado di sventare le crisi al buio» e aumentare la longevità dei governi, è ottima. Però dovrebbero investirci tutti. A partire proprio da Letta, il quale dovrebbe cambiare gioco e uscire dallo schema ius soli-legge Zan-tassa di successione. Cosa che, racconta nelle altre pagine del libro, non ha alcuna intenzione di fare. E così ci ritroviamo al punto di partenza.

 

 

 

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