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Funivia Stresa Mottarone, cos'è e come funziona il forchettone: il freno automatico e la strage, tutto ciò che non sapete

Renato Farina
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Si chiama forchettone. È il freno automatico delle funivie. Rompeva i coglioni al manovratore, scattava alla minima vibrazione, e allora si doveva tirar su a mano la cabina, salire e scendere, attuare procedure noiose, poi calmare la gente che si spaventa per niente, le corse che ritardano, e per cosa poi? Per rovinare la vita ai bravi gestori, ai direttori, a chiunque è pronto a giurare sulla base della sua esperienza che certe norme di sicurezza sono esagerate, che c'è una probabilità su un milione, cioè non capiterà mai, non a noi comunque. Il diavolo ragiona così. Anzi gli uomini. Che razza di bestia è questa umanità?

Nessun complotto a Stresa. È una strage senza misteri, se non quello antico e assai conosciuto che è quello del male. Stavolta però l'iniquità non sta nella cieca natura, che di tanto inganni i figli tuoi, ma negli uomini che ci vedono benissimo, eppure scelgono di scommettere sulla vita degli altri per due soldi, e si salvi chi può. 

 

 

 

Addio ipotesi affascinanti e apocalittiche sulla macchina perfetta che si ribella al suo inventore seminando cadaveri come nei film su Batman e lo scienziato pazzo. La tecnologia stavolta non è stata affatto fragilissima e mentitrice, bastava scegliere di usarla, e non sarebbe accaduto nulla. Ci sarebbe stato al massimo un po' di spavento. Si sarebbe ruzzolati a terra, e addio distanza sociale. Un intervento con l'elicottero magari, come sul Monte Bianco due anni fa, sarebbe stata persino un'avventura da ricordare. Invece, hanno tolto il forchettone, un attrezzo piccolo, persino molto semplice, banale come la differenza tra la vita e la morte (degli altri).

Toglierlo con coscienza, con mano salda ed ecco la caduta vertiginosa, dodici secondi di abisso. La morte. Com' è stato possibile? E perché? Non si tratta di un errore umano, ma della futilità schifosa per cui alcuni signori hanno giocato alla roulette russa con famiglie e bambini felici cui pareva di stare in paradiso, si sentivano sicuri su quel balcone divino sopra il lago: immaginavano di essere ospiti nella dimora di angeli gentili, ed invece erano nel dominio di mostri molto comuni, con difetti che a loro parevano veniali, così fan tutti. Devono aver pensato in questo modo. Si saranno paragonati ai furbetti del cartellino, a chi fa la cresta sulle note spese, pare lo facciano anche alcuni arbitri di calcio.

Ma sì, arrangiamoci. Come gli statali che staccano con il vapore le marche da bollo dagli incartamenti. Mostri che neppure sapevano di esserlo. Non commettiamo lo sbaglio di assimilare gli atti ad una identica categoria di astuzia malsana. C'è una graduatoria nelle colpe. E togliere la rete di salvataggio mentre passa Eitan, cinque anni, con i suoi genitori, è qualcosa di imperdonabile. Non sono delitti punibili nello stesso girone di malvagità. Qui siamo nella palude atroce di chi non collauda i ponti, evita di revisionare gli autobus e li usa per trasportare alunni, chiude un occhio sul sovraccarico per staccare un biglietto in più, per far salire su una tribuna di uno spettacolo qualche adolescente innamorato del divo rock. È andata così.

Quattordici morti e un orfano per quattro palanche in più, per non avere rotture di scatole supplementari, che già la vita è grama anche senza il forchettone che scatta e frena, e rovina gli incassi già spolpati dal Covid. La battuta atroce, perdonatemi, viene a fior di labbra e non riesco a ricacciarla giù: forchettone e forchettoni. E finiamola anche con la retorica della rinascita. Ci sta. È doverosa. Ma non pitturiamo di rosa il mondo, non dipingiamo ali sul corpaccio italico. Non dobbiamo dimenticare quel che da anni ci dicevamo e non è stato risanato da quattro canti in balcone per dirci che ce la faremo insieme.

 

 

 

 

C'è stato prima ancora che una crisi economica e finanziaria, e precedendo quella sanitaria, un default morale, un'emergenza educativa, per la quale ad un certo punto la generazione degli adulti ha smesso di comunicare il senso del bene e del male, il desiderio di ubbidire alla voce insopprimibile del cuore-coscienza-ragione (la si chiami come si vuole). Il Covid è stato il momento nel quale è accaduto il miracolo della fioritura di gesti puramente gratuiti e persino eroici, ma ha fatto spuntare sul corpo fiacco della società pure il bubbone dell'abbrutimento.

Tale quale nelle guerre di cui si tramanda la memoria. Come dopo ogni terremoto. C'è chi si affanna e muore per tirar fuori dalle macerie una vecchietta, e chi le toglie la catenina d'oro. Carezze misericordiose e infamie. Tanto più abiette perché a chi le fa, siccome magari le pratica costantemente, non sembrano tali, appaiono addirittura trascuratezze veniali, ma in esse si annida il disprezzo della vita altrui, venduta per un forchettone. Per evitare altre Stresa che si fa? Una legge più severa contro chi toglie i forchettoni? Più burocrazia prima di dare i permessi? Ma dai. Basta il quinto comandamento: non uccidere, ricominciando a insegnarlo da bambini. Dando l’esempio.

 

 

 

 

 

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