Dopo la sentenza

Ilva, dopo dieci anni siamo al punto di partenza: i soldi del Recovery l'unica speranza

Giancarlo Mazzuca

E adesso? Le 26 pesantissime condanne giudiziarie per disastro ambientale che hanno appena falcidiato i vecchi vertici dell'Ilva di Taranto (ma anche l'ex governatore pugliese Niki Vendola) mi fanno venire in mente quanto già si raccontava nel 2012 allorché il più grosso complesso siderurgico d'Europa (ed il più grande impianto industriale del nostro Sud) cominciò ad andare in "tilt" per le tante morti "bianche" a causa delle polveri rosa. Avremmo dovuto bloccare per sempre gli impianti nocivi o andare in qualche modo avanti, nonostante tutto? Da allora sono passati nove anni, a Palazzo Chigi si sono succeduti nove premier, a Taranto sono cambiate tre proprietà (i Riva, poi Arcelor-Mittal e quindi gli stessi franco-indiani con lo Stato), ma la situazione non è affatto cambiata, anzi.

 

 

Perché siamo in pratica ancora al punto di partenza e, con ansia, continuiamo ad attendere l'ardua sentenza: questa volta toccherà al Consiglio di Stato che dovrà decidere se l'area a caldo dell'acciaieria tarantina potrà continuare a produrre o no. Siamo nella situazione di un decennio fa ed è davvero sconcertante sentire oggi il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che dice che la salute viene prima di tutto. Ma cosa è stato fatto in tutti questi anni per arrestare una guerra ecologica che ha coinvolto un intero quartiere di Taranto? Se la giustizia va a rilento in Italia, ancora più al rallentatore procedono politica e burocrazia soprattutto quando sul tavolo ci sono situazioni molto delicate anche se importantissime. Prima di Cingolani, l'uomo della transizione, c'erano stati vari ministri dell'Ambiente, ma il risultato non è minimamente cambiato: da allora, in pratica, non è stato fatto nulla e siamo ancora nella situazione che raccontammo due lustri fa, una situazione che ha provocato, diossina o non diossina, tanti lutti.

 

 

Dice bene Cingolani: la salute viene prima di tutto. Ma come la mettiamo con l'economia di quel braccio dell'Italia che ha sempre vissuto d'acciaio? Per fortuna che adesso c'è il Recovery Fund: una buona volta per tutte, i soldi europei serviranno a dare un futuro agli operai dell'Ilva? Per curiosità, sono andato a rileggere quanto scrissi nel 2012 quando il disastro ambientale di Taranto era appena emerso in tutta la sua evidenza. Se, in quell'occasione, parlai di "telenovela", cosa dovremmo dire oggi? Nove anni fa feci anche notare come il ciclo integrale dell'Ilva avesse ritmi di lavoro giapponesi concludendo che, quasi paradossalmente, eravamo persino migliori, per certi versi, dei maestri del Sol Levante perché eravamo bravissimi a farci "harakiri" da soli. Ma come la mettiamo, adesso, dopo le ultime sentenze giudiziarie? Ora siamo diventati anche "samurai", alla faccia di quelle famiglie pugliesi che sono sempre "kamikaze".