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L'Italia è in terapia intensiva, neppure il Recovery Fund basterà a rianimarla

Ernesto Preatoni
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Mi dispiace doverlo dire, ma arrivo sempre prima della maggior parte degli osservatori a vedere i problemi. Questa settimana il quotidiano il Messaggero ha ospitato un'intervista, che condivido in pieno, a Jean Paul Fitoussi, creatore del dipartimento di Economia a Sciences Po a Parigi e docente alla Luiss di Roma. Che cosa dice quest' autorevolissimo economista? Spiega una cosa che dico da quando Draghi è alla guida del governo: tutti quelli che si sperticano in lodi all'Europa e ai fondi del Recovery Fund, se sapessero far di conto, saprebbero che quei fondi non basteranno. O, per dirla con le parole di Fitoussi, che si tratta di una cura potente, una sorta di antibiotico, che viene data però a un paziente per meno giorni di quelli che servirebbero. Sabato 13 febbraio (cinque mesi fa ormai), sulle pagine di questo giornale, citavo due numeri: il primo era 160, il rapporto percentuale aggiornato tra debito pubblico e prodotto interno lordo. Il secondo era 427 miliardi di euro, il deficit aggiuntivo derivante dagli scostamenti di bilancio, calcolati fino al 2026, che sono stati approvati nell'ultimo anno per fronteggiare l'emergenza sanitaria.

 

 

A febbraio, prima che l'Italia dovesse registrare le conseguenze del secondo lockdown che ci siamo autoimposti, Il Paese era già indebitatissimo: i grandi «padri» di questo debito sono due. Il primo è - manco a dirlo - il Co vid. Il secondo, il governo Monti. Non mi stancherò mai di ricordarlo: il governo del «professore» il 12 luglio 2012, in Senato, e il 19 luglio dello stesso anno, alla Camera ha votato il Fiscal Compact. Per chi non ricordasse, il Fiscal Compact rappresentava l'obbligo da parte dei Paesi Ue di perseguire il pareggio di bilancio, di non superare la soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del Pil e di ridurre, in modo drastico, il rapporto fra debito pubblico e Pil. Come ho scritto diverse volte, Monti ha lavorato per distruggere la domanda interna, in Italia. L'idea era quella di «germanizzare» il Paese: in realtà non ha fatto altro che distruggere ricchezza e posti di lavoro. E, quel che è peggio, i costi che i cittadini hanno dovuto sostenere per le riforme di Monti non sono state compensate dai risparmi ottenuti tagliando a destra e a manca. Leggendo l'intervista di Fitoussi, ho iniziato a pensare che, tra alcuni mesi, potremmo ritrovarci a dover pensare che un debito pubblico ancora più grande e una ripresa economica inferiore alle aspettative potrebbero avere un terzo padre - oltre al Covid e a Monti -, ovvero l'Europa.

 

 

Per due motivi: il primo riguarda la cultura, tipicamente tedesca, con cui l'Unione tende ad affrontare tutte le questioni economiche: «le vecchie dottrine sono ancora forti - testimonia Fitoussi - e se l'Europa continua a non darsi tutte le opportunità per crescere e investire, resterà indietro. E il pia nodi rilancio per ora non è all'altezza. Il problema è questo: se i rimedi proposti adesso non sono sufficienti, se sono, come per ora sono, troppo piccoli rispetto al male che devono curare, alla fine saranno screditati. Si dirà che queste politiche non funzionano, che gli eurobond non funzionano. E invece bisognava semplicemente fare di più» Il secondo motivo è strettamente legato al primo: siccome la Germania ha paura di essere troppo generosa con gli altri membri Ue, rischiamo che anche un evento come la pandemia sia affrontata con la stessa strategia con cui venne affrontata la grande crisi del 2008: pannicelli caldi, finché non saremo sull'orlo del baratro: «Le misure di cui abbiamo bisogno non possono essere omeopatiche. Tra piani nazionali e piano di rilancio europeo stiamo a circa 2mila miliardi di euro, gli Stati Uniti hanno stanziato più di 6mila miliardi di dollari. Eppure hanno meno di 330 milioni di abitanti contro 450 milioni in Europa. Inoltre al momento di decidere il piano, erano in una condizione migliore della nostra, in una situazione di quasi piena occupazione, non ci sono scuse».

 

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